L’abbraccio come Meditazione e scuola di vita
di Anna Fata
Abbracciare è un gesto connotato profondamente da una vena di sacralità. Abbracciare non è un semplice gesto fisico, di estensione delle proprie braccia, di apertura verso l’altro, di dono di sé e di accoglienza dell’altro.
Abbracciare non è solo un contenere l’altro, una condivisione di emozioni, vissuti, sentimenti.
L’abbraccio è molto di più.
Mai come oggi viviamo quasi esclusivamente nella nostra testa. Cerchiamo di dare ad ogni cosa una lettura razionale, una spiegazione, una inquadratura tale per cui tutto quello che vi sfugge – e questo è pressoché inevitabile ed inesorabile – viene vissuto come sovversivo e pericoloso.
Un abbraccio schiude al linguaggio del corpo, dell’emozionale, e, ancor più, dello spirituale.
Tutto quello che non vogliamo ascoltare, da cui prendiamo le distanze, di noi e dell’altro, ce lo troviamo espresso in modo diretto ed immediato in un abbraccio.
Talvolta, appare in uso una sorta di “surrogato” dell’abbraccio, tra vecchie e nuove generazioni, una specie di estensione, sgradevolmente rigida delle braccia, per ambo le parti, priva di qualsivoglia forma di contatto con l’addome. Un abbraccio formale che sembra veicolare un messaggio implicito: ti consento di avvicinarti e di avvicinarmi, ma mantenendo le distanze di sicurezza. Mi svelo, e ti permetto di svelarti, ma fino ad un certo punto.
Non ci si mette mai veramente in gioco fino in fondo. Solo in apparenza.
L’espressione abbraccio ricorre oggi piuttosto di frequente anche nella chiusura di lettere o sms, un altro modo comodo e asettico di esprimere affetto e vicinanza, che però, troppo di frequente, alla prova dei fatti, nella concretezza, si conferma una vuota illusione. Affetto solo sulla carta. Testimonianza di una profondissima ambivalenza che la nostra società e ciascun individuo, chi più consapevolmente, chi meno, sta vivendo, nei confronti delle persone care che stanno intorno.
Da una parte possiamo osservare il desiderio manifesto di una maggiore vicinanza – a dispetto delle nuove tecnologie che consentono contatti ubiquitari costanti, ma che si rivelano incapaci di sciogliere i blocchi comunicativi e socio relazionali che sempre più di frequente appaiono – dall’altra, nel concreto, la difficoltà di superare quelle barriere che spesso ci creiamo e che perpetrano le distanze tra noi.
Nella testa, consciamente o inconsciamente si affastellano diversi quesiti: “Cosa penserà l’altro di me?”, “Cosa penserà delle mie fragilità?“, e, forse, anche più paralizzante si rivela il quesito “Come andrà a finire? Di cosa sarò capace?”, sono i blocchi maggiormente onerosi e gravosi da superare.
In ultima analisi, infatti, ciò che temiamo maggiormente è il nostro potenziale, le nostre risorse e in generale ciò che meno conosciamo di noi e che non sappiamo dove ci potrà condurre. Tutto quello che è rimasto silente e accantonato per anni dentro di noi, che talvolta chiede di poter uscire, essere espresso, o anche condiviso, è ciò che ci intimorisce maggiormente e talvolta anche affascina al tempo stesso.
Con questi timori di fondo, finiamo col preferire gli pseudo equilibri vissuti fino a quel momento, gli assetti consolidati, che poi alla lunga si rivelano castranti ed imprigionanti che se da una parte offrono il barlume di una illusoria sicurezza, dall’altra ci privano della possibilità di vivere nuove possibilità, nuove parti di noi, seppure nel rischio dell’incertezza che questo può comportare. In ultima analisi, però, la vita non è proprio questo? Imprevedibilità, incontrollabilità, novità costante.
Talvolta, quando qualcosa dentro di noi è pronto, può arrivare senza preavviso un abbraccio, di quelli spontanei, autentici, profondamente carnali, in cui una pancia e un cuore si incontrano, si fondono, si confondono per pochi istanti, con la capacità di parlare un linguaggio grezzo, immediato, autentico, di veicolare un messaggio che nessuna parola potrebbe verbalizzare in modo così diretto e schietto.
Un abbraccio di tale portata è un abbraccio che contemporaneamente consente di riconciliarsi e ricreare unità sia con se stessi, sia con l’altro. In esso vi è una percezione simultanea di sé e dell’altro, come se non ci fosse più soluzione di continuità e al tempo stesso dimorando dentro il proprio corpo. Verbalmente può apparire come un paradosso, sul piano del sentire si verifica solo un essere completamente presenti nel qui ed ora.
Un simile abbraccio è in grado di tenere, sostenere, ma non trattenere né imprigionare il fluire della vita, lo scambio continuo, privo dell’attesa di una durata, di un modo, di un tempo prestabilito, per approdare ad una dimensione senza tempo, in cui ciascuno può essere liberamente se stesso e consentire all’altro di fare altrettanto.
Un abbraccio profondo, sentito, come se fosse una vera e propria Meditazione si può definire come una unione di due esseri il cui risultato è maggiore della somma delle parti. Anche sul piano fisiologico, alla lunga, il ritmo respiratorio e la frequenza cardiaca tendono ad allinearsi. L’abbraccio può rappresentare una fonte di grande accrescimento della propria consapevolezza, di evoluzione, comunicazione, condivisione estremamente potente e incisiva specie sul fronte emotivo e corporeo, proprio perché va al di là delle parole che in quanto tali definiscono, impongono dei limiti, separano. Non esistono parole, infatti, capaci di definire, imprigionare, incasellare la vita che in quanto tale è sempre in costante fluire, indefinibile e inafferrabile.
L’abbraccio è una scuola di vita, una forma di cura, e a tratti anche di terapia molto potente sia per se stessi, sia per gli altri, a patto che ci si senta pronti e disponibili a mettersi in gioco. Non esiste modo, tempo, luogo migliore, potenzialmente ogni occasione può rivelarsi ottimale.
Per approfondire leggi il libro: “Amore Zen”