Come piacere, passione e godimento accomunano Eros e cibo
di Anna Fata
Non conosco nulla che vellichi
così voluttuosamente lo stomaco e la testa
quanto i vapori di quei piatti saporiti
che vanno ad accarezzare la mente
preparandola alla lussuria
De Sade
Il legame tra cibo ed erotismo risale alla notte dei tempi. Sarà capitato a molti di noi fare precedere una notte di passione da una bella cenetta romantica in cui il piacere del cibo presagisce e prepara il piacere carnale successivo. Il cibo solletica tutti i sensi, li risveglia e li acuisce in previsioni di ulteriori godimenti.
Etimologicamente il termine erotismo si può ricondurre ad Eros, il dio dell’amore. Da qui l’accezione di amore sensuale con l’idea accessoria della tenerezza e della passione.
Il rapporto tra Eros e cibo
Eros, in origine, non era una divinità, ma pura forza di attrazione, desiderio appassionato al di là della logica, della ragione, capace di andare oltre ogni confine ed ogni limite. Il suo potere non conosce restrizioni.
Eros è passione che muove, smuove, motiva, scalda, anima, alimenta, trasforma, in grado di influire su tutte le aree della vita. La sfera sessuale è solo una delle tante possibili, non l’unica, né l’esclusiva.
Allo stesso modo, il cibo è energia, per le funzioni corporee, emotive, spirituali, ha potere nutritivo, trasformativo, riempitivo, saziante, soddisfacente. Esso mette in moto un processo e ne consente la prosecuzione.
Eros porta novità, scompiglio, sovverte gli ordini, gli schemi, le funzioni, le strutture. Anche il cibo arreca il nuovo, sempre e comunque, anche quando all’apparenza si presenta nella forma conosciuta e consueta. Si tratta di un’esperienza sempre nuova, dagli esiti incerti, non definiti, né definibili a priori. Non si tratta mai di ciò che si è assaporato un giorno, un mese, e neppure un istante prima. E’ costantemente una nuova esperienza.
Per essere vissuto nella sua pienezza, il cibo, al pari di Eros, richiede la capacità di lasciarsi fluire, rinnovare, senza aggrapparsi a sensazioni già vissute, senza cercare di ricreare percezioni già sperimentate, ma con la capacità di ricominciare ogni istante il processo.
Ogni volta non si sa come andrà a finire: farà bene o male all’organismo? Lo stomaco lo digerirà o meno? Sarà di gusto gradito o meno? La cottura sarà a puntino o meno?
Eros, al pari del fuoco, deve essere presente ed esercitare la sua funzione in modo adeguato, non eccessivo, non scarso. Se in eccesso, brucia, devasta, fa piazza pulita, annienta, produce un eccesso di velocità, oltre che di temperatura; se in difetto suscita indolenza, noia, apatia, freddezza interiore, che spesso si ripercuotono anche sul piano fisico, irradiandosi a partire dal ventre.
Allo stesso modo, il cibo in eccesso ottunde, gonfia, induce sonnolenza, apatia, disgusto; in difetto genera un senso di vuoto, fisico ed emotivo, una penuria di calore e di energie, scarsità di risorse per affrontare produttivamente l’esistenza quotidiana.
Eros suscita la sensazione che vale la pena impegnarsi nella vita di ogni giorno, darsi da fare, buttarsi a capofitto, con passione, emozione, motivazione, in un’impresa.
A suo modo anche il cibo prediletto può condurre a compiere grandi imprese, sprona ad attraversare la città trafficata per consumarlo, ad attendere lunghe e laboriose preparazioni e cotture, a svegliarsi all’alba per andare al mercato a reperire le materie prime fresche e di qualità.
Eros è vitale, viscerale, autentico, un impeto difficilmente contenibile e trattenibile, pena la perdita di quell’autenticità, spontaneità e immediatezza che una vita piena e soddisfacente dovrebbe esprimere. A sua volta, cucinare e poi gustare una pietanza dovrebbe essere frutto di una scelta di pancia, non di un ragionamento contorto e laborioso sul peso, le calorie e le caratteristiche nutrizionali, pena la perdita di buona parte del gusto e del piacere connesso.
Eros non ha a che fare con il razionale, ma con una sorta di chiamata che per certi versi ha del numinoso, sacrale, divino, una vocazione che si esprime nei molteplici piani dell’esistenza, della vita privata e socio professionale. Cibarsi, del resto, ma anche cucinare, è un atto di fiducia: non c’è garanzia verbale capace di garantire integralmente circa la bontà delle materie prime o dei manicaretti. Solo la prova personale di realtà può decretare il responso finale. L’istinto s’affianca e s’accompagna alla fiducia di fondo che sarà quel che sarà. In ogni caso, alla fine, resta l’esperienza.
Eros non segue le buone maniere, le convenzioni sociali, le aspettative altrui. Allo stesso modo, talvolta il cibo, per poter essere esperito nel modo più pieno e soddisfacente richiede di andare oltre le forma: noti sono i vecchi film di Totò, che con ampi tovaglioli legati al collo s’apprestava a immergersi in immensi piatti di spaghetti, o i più attuali spot pubblicitari che invitano a leccarsi le dita, altrimenti si gode solo a metà. Essere pienamente nel momento presente e nell’esperienza sensoriale, emotiva, spirituale che si sta vivendo richiede di andare oltre i conformismi, per affidarsi ai moti interiori che sorgono, istante dopo istante.
Eros consente di andare oltre i sensi, le contingenze, i limiti della concretezza, mettendoci nelle condizioni di esperire vissuti legati al rito e alla sacralità. Il cibo rappresenta uno strumento e una situazioni di tal sorta. Del resto, nei riti cattolici, ad esempio, ostia e vino rosso rappresentano, anzi, dopo la consacrazione, diventano pane e vino quale stessa carne di Cristo. Nel nostro piccolo, ogni esperienza alimentare quotidiana può avere un profondo valore celebrativo e sacrale. E’ solo a partire dalla materia, trascendendola, che si può fare esperienza del sacro.
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