Anche tu soffri del “Complesso di Dio” al lavoro?

complesso-di-Dio

Come trattare le persone che sembrano invulnerabili come un Dio
di Anna Fata

Sarà capitato a molti di noi, almeno una volta nella vita, in azienda, a casa o con gli amici, di avere a che fare con una persona che si dà da fare a tal punto da sembrare di volere e potere fare tutto lei, escludendo completamente coloro che le stanno intorno.

Le motivazioni per le quali una persona può avere sviluppato il “Complesso di Dio” (interessante al proposito l’approfondimento dello psicoanalista Horst-Eberhard Richtere nel libro: ”Il complesso di Dio”), in cui si atteggia in modo invulnerabile, da solista, con tratti simili ad un vero e proprio delirio di onnipotenza e fa sentire gli altri come non necessari o addirittura superflui, possono essere le più disparate.

 

Cosa c’è dietro il “Complesso di Dio”

Al di là delle caratteristiche specifiche di personalità, delle abitudini di comportamento che sono uniche e peculiari per ciascuno di noi, spesso dietro il “Complesso di Dio” possiamo ritrovare componenti quali narcisismo elevato, ego ipertrofico, eccesso di razionalità, volontà di dominio, illusione di controllo totale, che celano in genere il timore della propria fragilità, dei propri limiti, della dipendenza, della mortalità.

Quando una persona sviluppa il “Complesso di Dioesclude completamente tutti coloro che le stanno intorno, prende le sue decisioni, intraprende le sue azioni e non lascia il benché minimo spazio agli altri.

 

Come si sentono coloro che stanno intorno

Avere a che fare con una persona che si atteggia in modo invulnerabile e onnipotente può essere molto difficile, sia al lavoro, sia in famiglia o tra amici.

Una delle modalità che maggiormente può creare fastidio, imbarazzo, disagio o frustrazione si verifica quando queste persone chiedono il parere altrui senza poi, nei fatti, prenderlo minimamente considerazione. Successivamente, però, nonostante ciò cominciano a lamentarsi di avere fatto tutto per conto loro portando i presenti ad ipotizzare una sorta di “complesso del martirio” in chi hanno di fronte.

Questo rende le persone ancora più a disagio, irritate, con la sensazione di essere impotenti, superflue. Di fronte ad una persona che si martirizza, del resto, nessuno oserebbe mai lamentarsi o criticare.

 

Le cause e le conseguenze dell’illusione di onnipotenza

Una ricerca condotta presso l’Università di Bergen da Cecilie Schou Andreassen e Colleghi ha cercato di indagare le cause e le conseguenze del “Complesso di Dio”. In essa ci si è focalizzati in modo particolare sulla dipendenza dal lavoro – (o “workaholism”) che consiste nel farsi carico di una enorme mole di lavoro, per un ampio numero di ore, lavorando ben oltre le richieste, con una incontrollabile ossessione per l’attività professionale – e su ciò che spinge le persone ad impegnarsi ben al di là di quello che viene loro strettamente richiesto e perché si sentono in dovere di fare tutto da sole.

Pare che questo meccanismo venga in parte alimentato non solo dalla tendenza alla dipendenza dal lavoro in sé e per sé, ma anche da da alcune caratteristiche di personalità: una mentalità da solista, elevati livelli di narcisismo, perfezionismo, nevrosi, tratti comportamentali di Tipo A, contraddistinti da competitività, urgenza, impazienza, ostilità, ambizione.

Anche l’ambiente stesso di lavoro può contribuire alla dipendenza dal lavoro, soprattutto se è connotato da continue, pressanti richieste e da un sistema di ricompensa orientata principalmente all’aumento della produzione. Anche le figure che detengono la leadership in azienda possono stimolare tale modalità se si atteggiano in modo abusante verso i dipendenti.

 

I fattori che possono predire la dipendenza dal lavoro

La ricerca condotta da Andreassen a Colleghi è stata svolta in collaborazione con il Governo della Norvegia, che ha contattato un campione di 5.000 impiegati. Di questi 1.608 si sono resi disponibili a rispondere ad un questionario sulla dipendenza dal lavoro, gli aspetti legati all’ambiente di lavoro e lo stile di leadership dei superiori. L’età media dei partecipanti alla ricerca è stata di 45 anni.

Dall’analisi dei risultati è emerso che il 7% dei rispondenti è dipendente dal lavoro, anche se sembra che esso sia dovuto non tanto alle condizioni ambientali in cui si opera, ma prevalentemente a motivi personali, la tendenza alla fuga, l’immersione in ciò che si compie, l’autorealizzazione.

Pare che si tenda a diventare dipendenti dal lavoro per cercare di sfuggire ad uno stress percepito come sgradevole e potenzialmente nocivo per la salute, il cosiddetto “distress”. In questo modo si tende a lavorare ancora di più e si finisce col diventare ancora più stressati. Questo atteggiamento a sua volta crea un ambiente umano in cui diventa difficile comunicare, socializzare e condividere momenti di intimità.

Pare che invece una leadership abusante non abbia particolare effetti sull’innescare la dipendenza dal lavoro, ma quando si lascia molto margine di decisione e di azione sulle proprie attività può creare maggiormente le condizioni che poi sfociano nel sovralavoro.

 

Le basi della mentalità da solista e la dipendenza dal lavoro

Dalla ricerca sopra citata pare che le persone tendano ad adottare un atteggiamento da solisti quando sentono mancare le indicazioni specifiche per i loro comportamenti di fronte ad compito lavorativo da eseguire. Sembra che tali persone siano predisposte a comportarsi così anche in altre sfere della loro esistenza in cui per avere successo devono fare di tutto e di più e che tale schema di comportamento inizi molto presto nella vita, in famiglia e/o a scuola.

Per tale motivo al lavoro si danno tantissimo da fare, ben oltre le possibilità e le necessità e si sentono molto gratificate quando ricevono dei riconoscimenti per quanto compiuto.

 

Come comportarsi con le persone che si comportano da solisti

Quando ci trova di fronte a persone con il “Complesso di Dio”, con l’illusione di onnipotenza, invulnerabilità, che si comportano da solista, può essere molto difficile avere a che fare, soprattutto nell’ambiente professionale.

Come evidenziato dalla ricerca appena descritta, per interagire al meglio con coloro che sembrano bastare a se stessi e non avere necessità del prossimo, si potrebbe provare a trovare il modo, il luogo, il tempo giusto per avviare una conversazione con loro in cui condividere come ci si sente interiormente al loro cospetto.

Poiché tali persone tendono a diventare dipendenti dal fare, soprattutto se ricevono delle gratificazioni, non solo interne, ma soprattutto esterne per le loro azioni, si può utilizzare la stessa strategia di ricompensa se esse si impegnano a includerci nel loro operato.

Al contrario, mostrarsi risentiti, contrariati, infastiditi o offesi non fa altro se non perpetrare tale meccanismo. La chiave delle buone relazioni, e con esse anche della produttività in azienda, è rappresentata dalla collaborazione e dalla cooperazione e la nostra iniziativa nel fare in modo che le cose funzionino al meglio può essere decisiva per coinvolgere a sua volta anche l’altro. Il cambiamento che desideriamo che accada fuori e intorno dovrebbe prima di tutto partire da noi stessi.

 

Per approfondire leggi il libro: “Vivere e lavorare meglio

vivere-lavorare-meglio-libro-anna-fata

Tag:, , , , ,

Ti potrebbe interessare anche

di
Articolo precedente Articolo successivo
0 condivisioni
Social Network Integration by Acurax Social Media Branding Company
Visit Us On FacebookVisit Us On TwitterVisit Us On LinkedinCheck Our Feed