Quando anche il non controllo è una forma di controllo
di Anna Fata
Oggi viviamo in una società molto complessa, strutturata, in rapida e continua evoluzione. I cambiamenti, il progresso, le nuove tecnologie ci richiedono ritmi sempre più concitati che difficilmente riusciamo a sostenere 24 ore su 24.
La vita professionale ci impone efficacia, efficienza, celerità, precisione, puntualità, pur con una dovuta dose di creatività, autonomia, indipendenza, che si mescolano con collaborazione, cooperazione, che spesso non si riescono a conciliare con la quasi inevitabile competizione.
Istanze contrastanti e contraddittorie si alternano dentro e fuori di noi e orientarsi in questo scenario, trovare un equilibrio del tutto personale tra vita pubblica e privata, professionale e affettiva può diventare molto arduo, ma necessario.
Ognuno di noi di fronte a queste sfide esistenziali reagisce a suo modo, c’è chi riesce a cavalcare con fiducia e flessibilità gli alti e bassi della vita e chi, invece, suo malgrado fa più fatica e cerca in qualche modo di ripristinare qualche forma di controllo dentro e fuori di lui.
Cos’è il controllo
L’etimologia del termine “controllo” attinge al mondo dei conti e della loro revisione. Per certi versi, quindi, attiene ad un mondo scadenzato, matematico, per certi versi prevedibile, commensurabile, contrariamente alla vita che si presenta nelle forme più cangianti, imprevedibili, incommensurabili.
Psicologicamente rappresenta un tentativo di prevenire l’imprevedibilità e la variabilità del comportamento altrui e delle situazioni. Si manifesta nel tentativo di controllare sia la propria esistenza, sia quella altrui. Si esterna con gesti, comportamenti, atteggiamenti, ma anche con una colorazione emotiva improntata ad elevata ansia, stress, a volte anche attacchi di panico, somatizzazioni, continue rimuginazioni, ripensamenti, pensieri fissi, ossessioni mentali.
Anche fisicamente questo atteggiamento può comportare degli effetti con diverse forme di somatizzazioni a livello degli organi, contratture muscolari, rigidità articolari.
La persona che tende ad un forte controllo, anche se talvolta si rende conto di quello che sta provando, non riesce a cambiare atteggiamento.
Le caratteristiche della persona incline al controllo
La tendenza ossessiva e ripetuta al controllo non è una vera e propria patologia, ma può essere presente in diversi disturbi psicologici e sfociare essa stessa nel cosiddetto Disturbo Ossessivo Compulsivo, che si manifesta in vari modi e soprattutto tramite pensieri ossessivi associati a compulsioni, cioè azioni particolari o rituali da eseguire, nel tentativo di neutralizzare l’ossessione.
Senza sconfinare nel patologico la persona tendente al controllo tende a sviluppare insicurezza, disistima, si impone e spesso impone a chi le sta intorno regole rigide, abitudini metodiche, congelamento emotivo, razionalizzazione, perfezionismo, standard elevati. A seconda dei contesti in cui si manifesta può assumere dei connotati diversi, ad esempio il terrore di essere lasciati o traditi nel caso di una relazione di coppia, la paura di perdere il lavoro, di non essere promossi, approvati o di assumersi troppe responsabilità.
Perché non si può controllare tutto
Su un piano razionale la maggior parte di noi si rende conto che controllare sempre, comunque, ovunque tutto e tutti, a cominciare da se stessi, non è praticamente possibile. Nel concreto, però, non tutti siamo capaci di accettare questa ineluttabilità che qualcosa nella vita sarà soggetta sempre e comunque a sfuggirci.
Paradossalmente, anche nelle culture orientali, in cui l’inclinazione e la coltivazione a lasciare andare, fluire, accettare, osservare, può esistere una tendenza parziale al controllo. Il non controllo, infatti, è essa stessa una forma di controllo.
Lo stesso controllo implica la percezione: senza di essa non vi può essere controllo. Anche quando si cercano di creare attivamente degli stati di flusso, fluidità, ascolto non giudicante, accettazione incondizionata di quello che c’è, è una forma di controllo, nella misura in cui si stanno creando le condizioni affinché tutto questo si possa manifestare.
Decidere di lasciare andare il controllo, quindi, è una forma di controllo.
Come funziona il controllo
Secondo Timothy Carey, “ Autore di Controlling People”, Direttore del Centre for Remote Health ad Alice Springs in Australia, conoscere come si verifica il processo del controllo può essere una delle strategie migliori per allentarlo.
Essendo tutti noi almeno un po’ dei controllori abbiamo delle più o meno definite convinzioni di come riteniamo che debba essere il mondo, noi stessi, gli altri. Si tratta di posizioni soggettive che spesso però finiamo anche con l’imporre agli altri.
Quando percepiamo delle differenze tra le nostre aspettative e la realtà che ci si presenta di fronte ci attiviamo in diversi modi per cercare di cambiarle e assuefarle alla nostra prospettiva. Come, dove, quando ci attiveremo nel nostro intento e riusciremo a conseguirlo non è mai prevedibile, ma che faremo qualcosa in termini di tentativo di cambiamento, oppure di accettazione, è altamente probabile.
Se, tuttavia, non riusciamo a perseguire il nostro obiettivo il disagio fisico, cognitivo ed emotivo che ne può conseguire può essere assai ingente.
Come migliorare la vita e le relazioni senza controllo
Partendo dal presupposto, quindi, che la quasi totalità di noi necessita per il suo buon equilibrio psicofisico e relazionale, di una almeno minima quota di controllo, ma che qualcuno per inclinazioni personali, educative, culturali, familiari ne necessita un po’ di più, quello che sarebbe opportuno potrebbe essere lasciare che le persone più controllanti controllino quello che per loro è importante, ma senza arrivare a ledere la libertà e gli spazi altrui.
Le maggiore difficoltà nelle relazioni e nella società sorgono proprio nel momento in cui qualcuno invade il raggio di pensiero e di azione dell’altro.
Per fare questo è fondamentale sviluppare la consapevolezza circa le proprie inclinazioni al controllo e i limiti che queste possono determinare sia per se stessi, sia ancora più per gli altri. Questo ci può aiutare a comprendere anche le ragioni di tanti nostri comportamenti ostili, oppositivi, infastiditi di fronte agli altri, quando non sono all’altezza delle nostre aspettative.
Quando si riesce a ridurre il divario tra le proprie aspettative e la realtà che si ha di fronte, che si tratti di se stessi, l’altro o il mondo poco cambia, anche il nostro atteggiamento e la nostra colorazione emotiva tendono a cambiare di conseguenza.
Nel momento in cui riusciamo a diventare più consapevoli dei nostri meccanismi interiori possiamo fare altrettanto anche con gli altri e diventare così più empatici, comprensivi, compassionevoli e tolleranti e migliorare così le nostre relazioni.