In che modo la cultura influenza la nostra salute mentale
di Anna Fata
La depressione oggi rappresenta un vero e proprio allarme sociale e lo sarà sempre più anche in futuro. Essa rappresenta una delle patologie psichiatriche più diffuse non solo in Italia, ma anche nel mondo ed è in crescita esponenziale, insieme ad ansia e attacchi di panico.
Secondo i dati Istat in Italia il 5,4% delle persone dai 15 anni in su ne soffre. Tra gli over 65 il problema si acutizza ulteriormente, superando di gran lunga la media dei Paesi europei, raggiungendo l’11,6%. Le donne sono più colpite rispetto agli uomini e l’età di esordio si sta abbassando notevolmente al punto che i primi episodi si riscontrano non più solo nell’adolescenza, ma anche nell’infanzia.
La depressione non è un semplice essere tristi o demoralizzati, come a volte più accadere a tutti noi, ma una vera e propria patologia e come tale va riconosciuta e trattata tempestivamente, perché più compromettere profondamente la qualità della vita privata, personale, affettiva, scolastica e professionale. La sopravvivenza stessa è a rischio in quanto la possibilità di commettere atti autolesionistici o di suicidio non è infrequente.
Come se non bastasse, la malattia, se non adeguatamente riconosciuta e curata tende a recidivare negli anni.
Cosa causa la depressione nelle diverse culture
Il fatto che la depressione sia un disturbo diffuso in ampia parte del mondo ha indotto i ricercatori a individuare i fattori comuni che possono alimentarla.
Secondo una ricerca cross culturale condotta da Yulia Chentsova-Dutton della Georgetown University ha evidenziato che esistono dei fattori di rischio simili per la depressione attraverso le diverse culture: genere, disoccupazione, eventi traumatici in modo particolare. La perdita è l’elemento nodale. Quello che però può fare la vera differenza è il modo in cui la perdita viene interpretata e che senso si attribuisce ad essa.
Ad esempio, nel contesto occidentale tendiamo a patologizzare la depressione, a medicalizzarla, ad attribuirla a fattori biomedici. Siamo portati a credere che rimuovendo o allontanandoci dagli elementi che la causano essa si può alleviare o risolvere. In realtà, l’umanità di ciascuno di noi è qualcosa di molto complesso, non esclusivamente di pertinenza medica, biologica, genetica, ma anche sociale, culturale, ambientale, psicologica e come tale dovrebbe poter essere anche la diagnosi e il trattamento.
La malattia in questa rinnovata veste interpretativa diventa, pertanto, una questione biopsicosociale complessa che come tale va trattata.
Quale è il significato della depressione nel mondo
Ogni cultura tende ad attribuire un significato ed una valenza diversa alla sofferenza. Ad esempio, il Buddismo ritiene che la sofferenza sia un elemento intrinseco alla stessa natura umana e alla vita in generale.
Nel contesto occidentale, tra i Cattolici, i Cristiani, gli Ortodossi, la sofferenza viene concepita in due modi distinti. Da una parte ci sono coloro che sono convinti che un eccesso di sofferenza che ostacola il raggiungimento dei propri obiettivi sia un vero e proprio peccato. Dall’altra si trovano coloro che credono che la sofferenza sia un modo per essere vicini al proprio Dio. In Ecuador e in India, invece, la sofferenza viene considerata come una sorta di frattura nella propria rete sociale e come tale va risanata.
Come si cura la depressione nei diversi contesti culturali
Diagnosi e terapia, in genere, vanno spesso di pari passo. Un differente modo di definire e interpretare un disturbo ne influenza quasi inevitabilmente la terapia, il decorso ed una eventuale guarigione (o ricaduta, recidiva o cronicizzazione).
Nei contesti orientali, ad esempio, di recente le case farmaceutiche hanno cercato di insegnare alle persone a pensare al loro disagio in modo differente e a considerarlo un vero e proprio problema da trattare e risolvere. Questo ha fatto sì che le persone cominciassero a considerarsi e a trattarsi come malate e, contrariamente al passato, non hanno più ritenuto sufficiente fare ricorso alla propria rete sociale per avere sostegno, incoraggiamento e cura.
Questo tentativo di cambiamento culturale di definizione e cura della depressione ha aperto numerosi dubbi etici, epistemologici, culturali, oltre che medici e psicologici su quali possano essere le cure migliori in un ambiente culturale oppure in un altro e se sia possibile un approccio uniformato che non tenga debitamente conto degli elemento storici, umani, sociali, culturali, geografici, ambientali dei singoli contesti.
La presenza di fattori genetici favorenti la depressione
A livello nazionale numerose ricerche hanno messo in luce la possibile presenza di fattori genetici e familiari che possono predisporre maggiormente verso l’insorgenza della depressione.
A livello sovranazionale e interculturale i fattori genetici possono variare ampiamente. Ad esempio, le popolazioni dell’Asia orientale sembrano avere un’ampia prevalenza di geni associati alla depressione. Nonostante tale vulnerabilità, raramente esse manifestano la malattia.
Si ipotizza che questo sia dovuto al fatto che i fattori di vulnerabilità siano co-evoluti insieme alla cultura contribuendo a creare degli elementi di protezione extra. Quando, però, tali persone, per vari motivi, si allontanano dal loro Paese di origine tendono ad essere maggiormente a rischio di sviluppare la depressione.
Quali sono i fattori di protezione dalla depressione
Sembra che i fattori che maggiormente proteggono dalla depressione siano la stabilità sociale e le relazioni sociali. Per proseguire l’esempio dei Paesi asiatici in essi la stabilità delle reti sociali viene fortemente incoraggiata e promossa. Al contrario, questo accade molto raramente in contesti occidentali quali ad esempio gli Stati Uniti in cui vige una forte mobilità territoriale e sociale.
Occorre precisare, però, che le relazioni devono essere sane e armoniche per fungere da antidoto contro la depressione. In caso contrario possono addirittura favorirla.
Sembra, inoltre, che alcune culture siano in grado di rinforzare la regolazione delle emozioni, specialmente di quelle più sane e funzionali rispetto ad altre. Infine, si ipotizza che nelle culture occidentali, come in America, la grande insistenza sulla felicità e le emozioni positive contribuisca a creare una discrepanza tra come ci si sente e come si suppone che noi ci sentiamo.
Il ruolo della regolazione delle emozioni
Anche se solo il tono emotivo, di per se stesso, non è in grado di definire una patologia psichiatrica e neppure la depressione, esso è un elemento comune concomitante con diversi disturbi dell’umore.
Nella nostra cultura occidentale solo di recente ci si sta focalizzando sulla regolazione delle emozioni come fattore centrale per tutti i disturbi dell’umore. In particolare non siamo molto avvezzi a strategie quali il riesame che consiste nell’imparare a raccontarsi storie differenti che alla fine possono condurre ad emozioni diverse. La stessa condivisione delle emozioni può portare a una regolazione sociale efficace delle emozioni.
In alcune culture questo già accade, con tutti i conseguenti benefici del caso. Ad esempio, Igor Grossmann, della University of Waterloo, ha scoperto che i Russi tendono alla rimuginazione mentale – che di per se stessa viene considerata di solito una strategia disfunzionale – ma lo fanno in modo tale da renderla una strategia adattiva. Essi, infatti, riflettono su stessi dalla prospettiva di un’altra persona rendendo questa strategia un modo da imparare a rivedere la realtà in modi completamente differenti e nuovi.
Come i sintomi depressivi differiscono tra le culture
La depressione comporta sintomi fisici, cognitivi, emotivi. A seconda del contesto culturale pare che l’accento possa essere differente su alcuni sintomi, oppure su altri. Ad esempio negli Stati Uniti si pone l’attenzione su tutti i sintomi, con un rilievo particolare su quelli affettivi, tra i quali calo dell’umore e mancanza di piacere. In Cina sembra che le persone sperimentino la depressione più che altro nella forma di sintomi fisici con stanchezza, sonnolenza, apatia, mancanza di energia, difficoltà a concentrarsi.
Sembra che tali differenze siano dovute al fatto che nel tempo la diagnosi di nevrastenia, o debolezza dei nervi, si è spostata in China dall’Europa, passando attraverso l’Unione Sovietica. In pratica si tratterebbe della depressione maggiore senza i sintomi affettivi.
Come si valuta la depressione nelle varie culture
La questione del riconoscimento di avere bisogno di aiuto e la relativa eventuale richiesta è un passaggio spesso molto delicato e difficile. Non tutti riescono a riconoscere di avere bisogno di aiuto, non tutti lo chiedono, non tutti sono disposti ad accettarlo e farne tesoro, non tutti lo chiedono nello stesso modo.
Allo stesso modo, non sempre l’aiuto è disponibile dove, come, quando lo si desidera e non ovunque è a disposizione nelle medesime forme e tipologie.
La stessa diagnosi influenza la forma dell’aiuto: quest’ultimo sarà differente se i sintomi vengono riconosciuti come parte di una patologia, oppure se si considerano come una caratteristica intrinseca e inevitabile della fatica comune a tutti del vivere.
Il fatto che la maggior parte degli strumenti di valutazione sia stata creata in occidente può rappresentare un problema ai fini sia della diagnosi, sia della relativa terapia. Per questo motivo di recente si sta assistendo alla creazione di strumenti differenti capaci di tenere in considerazione anche i sintomi che sono specifici per ciascuna cultura.
Come cambiano i trattamenti nei diversi frangenti culturali
Da quanto affermato finora risulta chiaro che anche le forme terapeutiche devono adattarsi alle specificità locali, ivi compresi anche i farmaci.
D’altro canto, alcuni approccio psicoterapeutici validi in occidente, come ad esempio la terapia cognitivo comportamentale, si sono rivelati efficaci anche in oriente. Allo stesso modo strumenti come la Meditazione o Mindfulness, che presenta i suoi benefici in oriente, si sta rivelando ottima nei suoi effetti anti depressivi anche in occidente.
Lo stesso sostegno psicosociale si è visto essere uno strumento curativo efficace in tutti i contesti culturali. Avere qualcuno accanto per condividere e confrontarsi sui propri stati emotivi ha forte funzione di regolazione per lo stato d’animo. Questo, evidentemente, invita ad andare un po’ oltre il classico individualismo tipo dei contesti occidentali.
Tutti gli approcci terapeutici, in ogni caso, dovrebbero essere il più possibile individualizzati, contestualizzati e integrati su diversi fronti per rispondere efficacemente alle necessità del singolo affinché ciascuno possa trovare il benessere che più gli è peculiare.