L’immigrazione come fonte di ricchezza e benessere
di Anna Fata
Oggi la questione dell’immigrazione è una delle più dibattute sul fronte nazionale e internazionale. Si tratta di un fenomeno molto complesso che tocca diversi aspetti, storico, sociale, culturale, filosofico, sanitario, politico, economico, psicologico, che per essere affrontato necessita di un approccio altrettanto multidimensionale e coordinato.
Spesso purtroppo, però, si presta facilmente ad essere strumentalizzato e distorto ingenerando nell’opinione pubblica le reazioni psicologiche e sociali più disparate ed estreme. In genere si rende l’immigrazione una sorta di capro espiatorio su cui fare convergere liti, dissapori, paure, rabbie, ostilità, frustrazioni, ansie, preoccupazioni che in modo più o meno manifesto o latente caratterizzano ciascuno di noi.
Quando queste delicate emozioni vengono catalizzate e convogliate dal piano individuale a quello sociale possono innescare rischiosi conflitti. In queste situazioni si arriva ad incolpare chiunque appaia diverso da noi per linguaggio, etnia, sesso, cultura, religione, delle proprie manchevolezze personali così come di quelle sociali, spesso anche a sproposito.
In pratica, finiamo col credere che se siamo infelici, frustrati, insoddisfatti, irrealizzati o privati di qualcosa debba essere responsabilità di qualcun altro. Rendiamo, quindi, una convinzione un dato di realtà e in base ad essa interpretiamo tutto quello che accade.
L’immigrazione ci rende felici o infelici?
In una ricerca pubblicata su Politics, Group and Identities è stato valutato se e quanto la frammentazione etnica, religiosa e linguistica, cioè la diversità, può influire negativamente sul Benessere Soggettivo (Subjective Well-Being SWB).
I suoi risultati indicano che la diversità non ci rende meno felici. Difenderci, erigere muri dentro e fuori di noi, quindi, non sembra essere un atteggiamento capace di renderci più felici. Al contrario, sembra che possiamo sentirci più sicuri e sereni se riusciamo ad ampliare la nostra rete di relazioni e se riusciamo a renderla più universale e all’insegna della generosità.
Il frazionamento come misura della diversità
Solitamente si è sempre ricorsi al concetto di frazionamento – che rappresenta la probabilità che due persone scelte a caso all’interno di un Paese appartengano a diversi gruppi etnici – per misurare la diversità.
In teoria esistono due motivi per cui all’aumento della diversità di razza, lingua, o religione possa diminuire il Benessere Soggettivo in una nazione.
Il primo riguarda il fatto che il frazionamento può ridurre la fiducia tra le persone. Nello specifico quello che si pensa che decresca è la “fiducia generalizzata”, cioè la convinzione che ci si possa fidare della maggior parte delle persone, che è necessaria per promuovere il consenso e gli accordi tra le istituzioni pubbliche.
La frammentazione, però, dal canto suo potenzia la credenza che ci si possa fidare solo delle persone che fanno parte del proprio gruppo di appartenenza. Ciò che si alimenta, pertanto, è la “fiducia particolarizzata”.
Il secondo motivo attiene al fatto che la frammentazione pare che esacerbi i conflitti, che si traduce in scambi non proficui tra gruppi e, all’estremo, conduca a vere e proprie lotte civili o guerre.
Diminuendo la fiducia e aumentando i conflitti, quindi, la frammentazione nel breve termine può abbassare il livello del Benessere Soggettivo. Nonostante ciò, dalla ricerca sono anche emersi dei fattori possono mettere in campo per neutralizzare gli aspetti negativi associati alla diversità e accentuare i benefici.
I fattori positivi della frammentazione
Sembra che la qualità dello “stato sociale” di una nazione possa mitigare le ripercussioni negative della diversità. Secondo Benjamin Radcliff, autore del libro “Political Economy of Happiness”, la rete di sicurezza sociale, i sindacati, le leggi economiche a favore dei lavoratori come ad esempio il cosiddetto salario minimo contribuiscono a migliorare la qualità della vita e proteggono dall’indifferenza morale che spesso si associa all’economia di mercato.
L’economia di mercato può arrecare grandi opportunità, ma oggi più che mai sembra fondamentale riportare in essa i concetti di giustizia e umanità. Questo si può conseguire grazie all’azione politica, le istituzioni, in modo tale che gli interessi di tutti, a prescindere dalla classe sociale di appartenenza, vengano tutelati.
Il potere delle reti sociali come antidoto ai comportamenti anti sociali
In pratica questo approccio segue le politiche del “New Deal” che conducono ad una forma di “demercificazione” che consente di potenziare le capacità umane, di promuovere la collaborazione e la cooperazione, di ridurre i conflitti dentro e tra i gruppi, di accrescere la solidarietà sociale, di migliorare la capacità sociale di prendere decisioni collettive.
Ancora più nello specifico significa che le politiche che mirano ad accrescere le reti sociali di protezione possono aiutare a ridurre i conflitti e con essi il numero di famiglie che versano sull’orlo della disperazione. La disperazione, che si concretizza quotidianamente nel non poter provvedere alle necessità quotidiane o nel temere di non essere in grado di farlo più a breve, a sua volta fomenta ulteriormente la competizione tra persone e gruppi.
La riduzione dell’ansia per le difficoltà economiche, quindi, va di pari passo con il decremento dei comportamenti anti-sociali.
I benefici della rete di sicurezza sociale sull’essere felici
Analizzando un decennio di dati estratti dal World Values Survery è stato possibile per il professor Radcliff valutare gli effetti della diversità, misurata dalla frammentazione etnica, linguistica, religiosa, sul Benessere Soggettivo, cioè il livello di felicità autoriferito all’interno di 23 democrazie industriali e le ripercussioni, potenzialmente benefiche, della rete sociale di protezione.
Tenendo conto dei livelli di disoccupazione, crescita economica, salute sociale, cultura, è risultato che la demercificazione, cioè gli investimenti e la disponibilità per la rete di sicurezza sociale, si conferma un elemento capace di predire in modo efficace la felicità di una nazione quando vi è grande frammentazione etnica e linguistica in essa. Essa, infatti, è un fattore critico che favorisce la felicità e che può sopperire ai limiti che comporta la diversità.
Una rete di sicurezza sociale, pertanto, non solo riesce a placare le ansie, le preoccupazioni, l’ostilità, l’odio, la rabbia verso l’immigrazione, ma implica anche uno stato socio previdenziale che accresce i benefici associati alla diversità della popolazione.
D’altro canto, questi risultati sembrano parzialmente confermati dagli effetti della democrazia sociale che spiccano, ad esempio, in Finlandia, che è stata classificata come la nazione più felice nel 2019 secondo il World Happiness Report.