Lavorare meglio facendo meno e guadagnando in salute
di Anna Fata
Lavoriamo, lavoriamo, lavoriamo, e poi?
Siamo sicuri che questo ci faccia veramente bene? E ancora più, siamo sicuri che più lavoriamo, più produciamo?
Maggiore ore di lavoro equivale a maggiore produttività?
Un numero crescente di ricerche sta attestando che aumentare il numero di ore di attività e di lavoro, oltre una determinata soglia non coincide necessariamente con l’aumento della produttività. Questo a dispetto del fatto che le ore di lavoro sembrano in aumento in tante nazioni.
Dove si lavora di più nel mondo
Tra i Paesi in cui si lavora meno troviamo: Olanda (27, 29 ore a settimana), Norvegia (27,38), Danimarca (28,1). L’Italia si posiziona circa a metà classifica (33,17), mentre dovei si lavora di più, oltre 40 ore ci sono Messico, Costa Rica, Corea. (Fonte dati: La Repubblica )
Secondo una ricerca della Stanford University si è visto che sotto le 49 ore a settimana le variazioni della produttività sono proporzionali alle variazioni orarie. Quando, invece, si superano le 50 ore il risultato è una decrescita della produttività.
Secondo i dati OECD il rapporto tra ore di lavoro e produttività vede in testa la Germania, seguita da Francia e Stati Uniti. Questo nonostante Germania e Francia siano tra gli Stati con il numero di ore più basse di lavoro. La Korea, invece, che riporta un numero di ore molto elevato riporta livelli di produttività assai bassi.
In aggiunta si rileva che la Danimarca, in cui le ore di lavoro sono relativamente poche, vanta tra i maggiori livelli di felicità al mondo.
Da questi dati si deduce chiaramente che lavorare più di 40 ore a settimana non produce grandi risultati. Non migliora necessariamente la qualità né la quantità dell’operato. In tali casi si è rilevato che aumenta la tendenza a procrastinare e l’efficienza diminuisce drasticamente, si perde creatività, benessere psicofisico.
Dipendenza da lavoro?
Quanto più aumentano le ore di lavoro, tanto più si crea una sorta di dipendenza al punto che spesso anche al di fuori dell’orario di lavoro si pensa ad esso, si controllano mail e documenti tramite i dispositivi mobili.
Secondo lo psicologo Manfred Kets De Vries oggi siamo a rischio di “overload da interazione” a discapito di introspezione e riflessione. Lavorare tanto non significa lavorare meglio, un eccesso di sovraccarico mentale stimola troppo la mente razionale a dispetto di quella emozionale e immaginativa, nonché della salute mentale stessa.
Oggi il dolce far niente sembra inconcepibile, una perdita di tempo, un atto irresponsabile. Il rischio in questi casi è la perdita di contatto non solo con gli altri, ma anche e soprattutto con se stessi.
La stessa “cyber epoca” in cui viviamo pare essere in parte responsabile di questa nostra tendenza ad essere sempre in qualche modo impegnati. Questo alla lunga conduce al burnout.
Come lavora il leader virtuoso
Eppure lo psicosociologo J. Keith Murnighan ha constatato che i migliori leader sono quelli che sanno delegare il loro lavoro liberando per sé del tempo e utilizzandolo per orchestrare le performance altrui. Lo stesso staff di collaboratori, seguendo questo esempio professionale pare siano più soddisfatti, producano migliori prodotti e/o servizi, hanno minire turnover e sono più rilassati.
Esistono vere e proprie ricerche neurobiologiche che attestano che il cervello quando non si fa nulla, in realtà, analizza le esperienze, consolida i ricordi, rinforza gli apprendimenti, regola l’attenzione, le emozioni, ci rende più produttivi ed efficaci quando si torna al lavoro. Se non ci si concede il tempo per non fare nulla, per lasciare che le emozioni e i pensieri vengano elaborati, per lo più in maniera inconscia, è possibile che tali contenuti si intrufolino nella mente proprio quando si sta lavorando, provocando disattenzione, calo della produttività, della creatività, procrastinazione, aumento della possibilità di compiere errori. Le stesse emozioni, per lo più negative, se non elaborate adeguatamente, possono renderci tesi, nervosi, stressati, possono rendere difficili e conflittuali i rapporti tra colleghi e superiori, riducono l’empatia, la compassione, la pazienza.
La stessa azienda Google ha compreso tutto questo e per questo offre ai suoi dipendenti occasioni pratiche per elaborare le emozioni, rilassarsi, praticare Meditazione.
In tali processi anche gli spazi ove potersi ritirare in solitudine sembrano essere fondamentali.
In sintesi: i benefici dell’ozio al lavoro
Sintetizzando alcuni benefici fondamentali dell’ozio al lavoro:
- La creatività viene accresciuta
- Aumenta l’autoconsapevolezza
- Le relazioni migliorano
- L’intelligenza emotiva si accresce
- La produttività aumenta
- La solitudine riequilibra il fare con l’essere
- Le capacità di problem solving si rafforzano.
Per approfondire leggi il libro: “Un modello per il ben-essere in azienda“