Come essere sereni nonostante gli alti e bassi nella vita e nel lavoro
di Anna Fata
Oggi più che mai viviamo in una società che ci lusinga con infinite promesse di benessere, piacere, felicità. Dal profumo che una volta indossato ci assicura notti di sesso infuocato, alla pastiglia per la funzionalità della prostata che ci garantisce di non avere più scuse per non soddisfare il partner, allo yogurth il cui gusto è meglio di un rapporto sessuale, all’auto che ci consente di essere liberi e selvaggi anche in città trafficatissime, ai biscotti che quando si gustano in famiglia o con gli amici permettono non solo di stare in buona salute, ma anche di avere relazioni armoniche e soddisfacenti, l’elenco delle promesse potrebbe essere lunghissimo.
La pubblicità e ogni forma di comunicazione sociale, ma anche culturale, politica, economica ci promette di farci vivere bene, lavorare meglio, essere ricchi, di successo, attraenti, e in ultima analisi felici.
La promessa della felicità
Fino a che punto ciò che sta fuori, luoghi, persone, servizi, prodotti riesce a renderci veramente felici? Fino a che punto tutto questo rischia di diventare una rincorsa pressoché infinita ad avere, vivere, sperimentare qualcosa di più, qualcosa di nuovo, in una inquietudine senza fine?
Inevitabilmente l’immagine del mondo che ci siamo creati rispecchia le nostre convinzioni interiori. Quello che vediamo fuori e intorno ci rispecchia nel profondo. Non vediamo il mondo per quello che è, ma per quello che siamo.
Quali sono le convinzioni alla base di questo modo consumistico e utilitaristico di vedere e vivere la vita?
Nel nostro mondo occidentale un’ampia parte della nostra vita è centrata sul fare, più che sull’essere. La nostra stessa identità ruota intorno all’agire. Tant’è che spesso si finisce con l’identificarsi con quello che che si fa. Ne è riprova il fatto che quando ci viene chiesto chi siamo tendiamo a rispondere per lo più con la definizione di ciò che facciamo: faccio il medico, l’avvocato, l’operaio, la parrucchiera, il fornaio. A volte l’identificazione è talmente forte che non utilizziamo il verbo fare, ma essere: sono un chirurgo, sono uno psicologo, sono una mamma di famiglia.
Cosa comporta l’identificazione?
Anche se l’identificazione, nell’immediato, può farci sentire bene, ci gratifica, ci rassicura, ci offre dei confini chiari e solidi in cui collocarci, alla lunga rischia di diventare per noi una pericolosa trappola. Questo accade non solo perché ci limita nel nostro potere, nell’espressione di noi stessi e delle nostre potenzialità che sono molto più ampie e sconfinate di quello che crediamo, ma anche perché se per caso un giorno dovessimo perdere i nostri possedimenti, ad esempio il lavoro, il coniuge, i beni, la nostra identità si frantumerebbe irrimediabilmente.
In questi casi il senso di destabilizzazione, di smarrimento, di sconforto, di confusione, di dolore e di infelicità che ne deriverebbe potrebbe essere assai intenso. Queste sensazioni negative rappresentano l’indicatore del legame di dipendenza che abbiamo creato inconsapevolmente da quello che abbiamo conseguito e in cui ci siamo identificati.
Come superare le sofferenze ed essere felici
E’ umano voler eliminare dalla propria vita i dolori e le sofferenze e ambire alla felicità. Forse, però, non sempre lo facciamo percorrendo la strada giusta. E, probabilmente, altrettanto errata è la convinzione che la vita ci debba rendere felici, che l’esistenza ci debba qualcosa o sia suo compito metterci nelle condizioni di poter stare bene.
Saper conciliare questo anelito personale a stare bene e provare emozioni positive con la realtà dei fatti che ci vede costantemente impegnati in situazioni da affrontare e, quando possibile, risolvere, non è sempre facile.
A volte di fronte alle piccole e grandi situazioni che quotidianamente ci troviamo ad affrontare possono sorgere ansia, depressione, stress, sconforto, stanchezza, ribellione, vittimismo. Alla lunga questo ci porta ad avanzare nella vita e nel lavoro con stanchezza, pesantezza, per abitudine, dovere o necessità più che per gratitudine, gioia, stupore, meraviglia, nonostante tutto.
La Psicologia Positiva afferma che ciascuno di noi nasce con un livello base di felicità che tende ad oscillare a seconda agli eventi della vita, ma che alla fine torna ai livelli di partenza. Nonostante ciò può essere allenato ed elevato con appositi esercizi. D’altro canto, però, la pratica spirituale insita nella Meditazione sostiene che la felicità non può e non deve essere l’obiettivo della vita. Infatti, nel corso di un esperimento si è visto che a coloro che mentre ascoltavano un brano di musica classica veniva detto di cercare di essere felici lo diventavano meno rispetto a coloro a cui questa prescrizione non veniva data e si limitavano a godersi il brano di musica.
Come cercare di essere felici, nonostante l’infelicità
Come conciliare queste due istanze paradossali, essere felici, ma non cercare di esserlo?
Per certi versi, fino a qui abbiamo capito che è possibile costruire la propria felicità e che al tempo stesso è fortemente sfuggente, proprio nel momento in cui si cerca di afferrarla. Per superare questo apparente paradosso è fondamentale fare riferimento ad un concetto di felicità diverso da quello descritto all’inizio, basato per lo più su evenienze esterne su cui abbiamo solo un relativo controllo.
Esiste un altro tipo di felicità che si fonda su un appagamento, una serenità di fondo, una equanimità, una accettazione della esistenza per quella che è, al di là del bene e del male. E’ una disposizione interiore in cui pensieri ed emozioni egocentriche cessano di interferire con la nostra serenità.
E’ possibile conseguire questa condizione interiore rimuovendo tutti i blocchi che la ostacolano. Quando questi blocchi, gradualmente, vengono rimossi, tale condizione si manifesta spontaneamente, senza alcuno sforzo. E in questo modo si riesce a superare il paradosso della felicità, nonostante le piccole e grandi infelicità quotidiane.
A quel punto possiamo diventare consapevoli di come molto spesso siamo noi a sabotare la nostra stessa felicità. La felicità non scaturisce dal porsela come meta, ma dal percorso stesso.
Come camminare verso la felicità
Tre domande che potrebbero essere utili per favorire questo processo possono essere:
- In questo momento sono davvero felice?
- Che cosa ostacola ora la felicità?
- Posso arrendermi a ciò che c’è?
Coltivare la felicità, sapere essere sereni, nonostante gli alti e bassi della vita è un’arte che si impara vivendo e attraversando ogni momento che ci capita.
Per approfondire guarda il video: