Intervista a Luca Canapini
Di Anna Fata
Attualmente viviamo in una società frenetica, distratta, superficiale, ma questo anziché farci stare bene sembra che stia dando adito a tanti malesseri individuali e sociali. Lo sfaldamento delle famiglie, lo smarrimento di punti di riferimento, di antiche tradizioni, il lavoro precario, la rincorsa delle apparenze, i legami mordi e fuggi stanno rendendo le nostre vite private e professionali sempre più caotiche, confuse, ansiogene e in molti casi paradossalmente vuote.
La rincorsa frenetica di qualcosa o qualcuno fuori ci sta facendo perdere di vista quello che siamo nel profondo. Non siamo più disposti ad ascoltare noi stessi e ancor meno gli altri. Il tempo di attenzione si sta riducendo drasticamente. Uno studio britannico ha riscontrato che la persona media sposta la propria attenzione tra lo smartphone, tablet e computer portatile 21 volte nel giro di un’ora. Tutto questo perdendo irrimediabilmente di vista chi si ha di fronte.
In questa frenesia, che spesso si ripercuote individualmente, con una crescente richiesta di aiuto per disagi psicologici, e con forme di disagio anche collettivo, che ruolo può avere la filosofia e la figura del filosofo?
Un tempo la figura del filosofo veniva associata a chi prendeva le distanze dal mondo per speculare sui massimi sistemi. Oggi assistiamo alla presenza di numerosi famosi filosofi che si spendono attivamente sia nella società, sia nel counseling individuale per aiutare le persone e la società a trovare un novo senso alla loro vita e al loro agire.
Abbiamo parlato di questo con Luca Canapini, Docente di filosofia, Counselor, Scrittore, Autore tra gli altri del recente libro “Il Pensiero è la Realtà” edito da Unicopli.
D: Secondo lei qual è il contributo che la filosofia può dare alla nostra società odierna?
R: La nostra società sta conoscendo un momento di grande e profonda crisi dal quale uscirà significativamente trasformata e rivoluzionata sin nelle sue fondamenta. Questa estrema fragilità sistemica sulla quale galleggiamo pericolosamente, è da riferire ai più svariati ambiti della società e caratterizza ormai il nostro orizzonte progettuale; è divenuta parte integrante di quella che i filosofi tedeschi chiamano Weltanschauung che possiamo tradurre come concezione del mondo: “pensare il negativo” – per utilizzare le parole di Slavoj Zizek– non è più solo un’esigenza logica della filosofia, ma è divenuta purtroppo una prospettiva esistenzialistica alla quale non è possibile sottrarsi.
Così, ad esempio, la precarietà lavorativa o quella dei rapporti amorosi non sono più eccezioni in una comunità, ma sono divenuti la regola sociale con la quale nolens volens dobbiamo fare prima o poi i conti.
È comprensibile che questo stato mentale nel quale tutti indistintamente viviamo e senza interruzione di continuità, è prostrante e ci consuma, compromettendo la nostra legittima dimensione di serenità. Da ciò deriva la patologica certezza d’essere sempre manchevoli nel nostro agire, vittime di sensi di colpa che si palesano senza alcuna ragionevole causa, ci si sente ostacolati da immaginari nemici che innalziamo sugli altari delle nostre paure inconsce.
I nuovi dogmi dell’incertezza e della flessibilità che costituiscono oggi drammaticamente la forma sostanziale del nostro agire, fa sì che le nostre vite diventino sempre più complesse e critiche, incastonate rigidamente in un sistema soffocante e sempre più ingordo dei nostri spazi emotivi, ormai ridotti a sbiaditi simulacri di una realtà interiore che sembra ormai perduta.
Ciò deriva anche dal fatto assai importante, che questa società ha focalizzato da tempo la sua attenzione sul dato prettamente materialistico ed economico: già Nietzsche profeticamente, alla fine dell’Ottocento, aveva annunciato la “morte di Dio” come il traumatico termine di quella narrazione umana che aveva saputo valorizzare e raccontare la dimensione spirituale ed emotiva dell’uomo. Secondo Nietzsche l’uomo ha ucciso Dio in nome di una visione della vita e della storia, eminentemente razionalistica e meccanicistica.
Ma l’uomo può ignorare la propria anima? Ovviamente no, ne deriverebbe uno stato di profonda infelicità e non di rado di malattia o disagio psicologico. Una società che ignora la cultura artistica, religiosa e filosofica, il pensiero e la sua storia, è una società infelice perché produce esseri mutilati nella coscienza, non solo banalmente ignoranti. Se la filosofia coincide con l’autoconsapevolezza storica di una società, ignorarla significa candidare l’uomo alla dimenticanza di sé, condannarlo all’oblio, ossia alla sofferenza.
D: Di quali filosofi pensa che sia fondamentale conoscere il pensiero oggi e perché?
R: Forse per formazione mi sento molto legato alla classicità greca e al Romanticismo tedesco. Ho sempre pensato che in questi due imprescindibili momenti della storia del pensiero, l’umanità abbia prodotto ciò che è davvero significativo per la filosofia. Noi oggi possiamo, forse, sorvolare sul pensiero di Locke o di Hobbes, ma non possiamo dimenticare di citare giganti come Platone o Aristotele, Hegel o Marx. In particolare mi sento molto legato alla speculazione platonica perché, in buona sostanza, quello che noi chiamiamo filosofia si definisce e si determina con la riflessione del grande maestro ateniese.
E a ben vedere molti dei temi che ritroviamo ancora oggi trattati dai maestri del pensiero, erano già stati argomentati da Platone. Whitehead diceva che:
«tutta la storia del pensiero occidentale non è che una serie di note a margine dell’opera di Platone».
In particolare la sua Repubblica è secondo me una miniera inesauribile di perle di saggezza su cui tutta la società contemporanea dovrebbe meditare; è sorprendente quanto Platone sia ogni volta edificante e sempre nuovo e più profondo: è il dono dei classici.
Penso che l’uomo contemporaneo dovrebbe considerare il suo valore profondamente spirituale: basti pensare che la prima codificazione del Cristianesimo, soprattutto ad opera di Agostino d’Ippona, derivi le sue fondamentali linee concettuali proprio dal filosofo di Atene. Oggi l’uomo dovrebbe ripensare il valore dell’eternità dell’anima e della sua trascendenza e al contempo della critica – davvero attualissima – della degenerazione della società derivante dal vizio, dall’errore, dal volgare materialismo, dal sentimentalismo esasperato delle incontrollate passioni che, invece, paradossalmente questa società incoraggia tenacemente in nome di una non ben definita ‘libertà’, concetto oggi del tutto svuotato della sua componente valoriale.
E in questa direzione, certamente, la società dovrebbe rileggersi Marx soprattutto per la sua capacità di intuire la contemporaneità come esito di un sistema economico che ci determina e ci definisce, più specificatamente ci struttura. Oggi, inutile negarlo, si è attuata una forma evidente di estremo sfruttamento dell’uomo a causa delle leggi imposte dall’alta finanza: l’uomo di questo pericolante Occidente, ha barattato spontaneamente la sua dignità e la sua libertà –quella vera-, per divenire esso stesso merce e perdendo quindi il suo reale valore intrinseco. L’uomo ha dimenticato il suo libero mondo ideale, quello raccontato da Platone, per sprofondare nella bruta materialità delle cose.
D: Non a tutti piace la filosofia, per qualcuno è anche di difficile comprensione: ci può dare qualche suggerimento pratico per imparare ad amare la filosofia?
R: Avere un professore di filosofia preparato e con un buon carattere è già un buon inizio. In secondo luogo, a chi mi fa questa domanda, consiglio sempre di leggere libri di facile comprensione: questo è assai utile per approcciarsi a questa disciplina. In libreria ve ne sono una infinità di questo tipo e molti sono scritti proprio bene. Comunque, eviterei di affrontare -almeno all’inizio- sistemi filosofici troppo complessi come quelli di Hegel o di Kant; piuttosto avvicinerei un giovane –ad esempio- a Schopenhauer che scriveva benissimo e che soprattutto cercava di farsi capire anche dal grande pubblico.
Molti della mia generazione hanno avvicinato la filosofia anche grazie al successo di libri che riguardavano la storia del pensiero orientale: per quanto mi riguarda fui folgorato dalla filosofia quando ero un ragazzino grazie a un libro di facilissima lettura e assai profondo scritto da Lin Yutàng un filosofo cinese del secolo scorso, dal titolo Importanza di vivere; lo acquistai in una libreria di Fano senza sapere esattamente perché. Fu amore a prima vista. Ci vuole anche predisposizione d’animo come per ogni forma d’arte o di scienza: alcune persone, come insegna Eraclito, non saranno mai toccate dall’amore per il sapere, dall’amore per la riflessione, non sentiranno mai la necessità di domandarsi le cause e le finalità dell’esistenza e del mondo. Penso che tutto ciò dipenda dalla storia o dal destino che pertiene ad ogni uomo.
D: Oggi secondo lei quale ruolo può occupare la figura del filosofo nei diversi ambiti della salute, del lavoro, della vita privata, della scuola?
R: Il filosofo oggi è e dovrebbe essere innanzitutto un formatore nel senso greco del termine: avvia gli studenti, che saranno gli uomini di domani, al pensiero critico che è quella facoltà intellettuale deputata a risolvere un problema, o una serie di problemi, con ampiezza di vedute, intelligenza e senza pregiudizi.
Non mi stupisce il dato che in importanti gruppi come Facebook, Instagram o Fiat oggi siano impiegati in posizioni dirigenziali proprio dei laureati in filosofia: ciò dipende dalla grande versatilità che caratterizza tipicamente la formazione filosofica e in genere umanistica. Anche nella nostra quotidianità lo sforzo di confrontarsi con il pensiero dei grandi filosofi ci abitua a considerare spontaneamente nuove strategie di soluzione ad un problema: è così che il pensiero diventa più flessibile, curioso e meno dogmatico e aperto a posizioni innovative.
Lo sforzo di considerare, ad esempio, la concezione del bene ora dal punto di vista aristotelico, ora humiano, ora spinoziano e via dicendo, forma l’allievo a vestirsi o svestirsi di principi e paradigmi, trovando ogni volta il dispositivo logico più idoneo a risolvere un problema, qualsiasi problema che la vita gli pone innanzi.
Non sto dicendo che sia necessario obbedire ad una voce che ci parla da un lontano o recente passato, ma di farci consigliare. In questa direzione Socrate si approcciava ai suoi discepoli diversificando il suo insegnamento in relazione alla maturità e alle esigenze spirituali del suo interlocutore. Oggi un buon counselor filosofico dovrebbe riuscire proprio a fare questo: utilizzare schemi e codici che provengono da tradizioni anche lontane o contraddittorie, al fine di offrire il miglior consiglio per quel caso specifico. Dico una banalità per farmi comprendere: una posizione del pensiero superegoica molto forte, dovrebbe scoraggiare una dialettica sviluppata secondo un’impronta moralistica.
D: Filosofia, counseling filosofico e benessere psicofisico: a suo avviso quali sono le possibili relazioni?
R: Le relazioni sono molto strette: senza una reale comprensione della propria vita, del proprio cammino fatto e da fare, non può esserci alcun benessere reale. La filosofia ad esempio socratica, lavora proprio in questa direzione e risponde all’esigenza mai sopita nell’uomo di dare voce all’imperativo conosci te stesso.
Il dialogo filosofico con un counselor, o agostinianamente parlando con il maestro interiore, dovrebbe attuare il disvelamento alla nostra coscienza della nostra vera natura, e del disegno più alto nel quale noi siamo incastonati. Il counseling filosofico, a mio parere, non può esimersi dal considerare imprescindibile la concezione della tradizione stoica per la quale l’uomo deve riconoscere il proprio destino, il proprio compito, deve riconoscere il suo precipuo senso rispetto alla Ragione Universale. Il counselor deve portare il suo interlocutore alla consapevolezza chiara e distinta che la vita abbia un senso, abbia un suo specifico significato.
È ovvio che sia molto più facile a dirsi che a farsi, ma lo stesso impegno che ci assumiamo nei confronti di noi stessi è già un passo importante verso la felicità, che la filosofia intende come un percorso da affrontare in ogni istante della nostra vita, – esattamente come insegnava Epicuro – superando le proprie inutili paure.
Per la filosofia la felicità non è mai abbandono incontrollato alle passioni e all’immediato piacere, ma è conquista di autoconsapevolezza che si raggiunge gradatamente, praticando la via dell’amore per il sapere, ch’è conoscenza di sé stessi.
D: A suo avviso quale contributo può offrire la filosofia per la ricerca del senso della vita e dell’azione concreta nel mondo?
R: In ogni epoca la filosofia ha sempre cercato di dare un senso nuovo alla società alla quale ha tentato di imprimere una nuova direzione: ne è esempio emblematico il pensiero di Marx. Sono convinto che oggi la società possa tirarsi fuori da questo terribile stato di desolazione valoriale, solo lavorando sui giovani con gli strumenti della cultura, e in particolare della filosofia che, come ho mostrato, è la dottrina eletta a fornire quegli strumenti critici necessari allo sviluppo di una società sana, ossia dire costituita da cittadini onesti e intelligenti.
Senza questo lavoro formativo attento e costante la democrazia, invece di essere la forma politica della libertà, diviene l’informe contenitore di tanti individui inconsapevoli e svuotati di idee e di principi che mirano al solo possesso materiale e al proprio egoistico piacere e compiacimento. Se questa direzione non verrà repentinamente ripensata l’Occidente conoscerà inevitabilmente la sua fine.
L’azione nel mondo è dunque possibile e necessaria ma prima va pensato un nuovo progetto sociale e politico incentrato su di una innovativa concezione dell’individuo formato e sostanziato secondo i principi della consapevolezza. Non necessariamente questo significa snaturare i valori della tradizione nel nome di un asettico e astratto progresso, ma può indicare al contrario un recupero dei principi della nostra cultura e della nostra tradizione ma nuovamente e criticamente interiorizzati. Per usare un hegelismo delle origini, i nostri valori si sono esteriorizzati: dobbiamo riconsiderarli introspettivamente.
Questo Occidente stordito da una ingombrante e annullante stupidità, ha prodotto un esercito di esseri infelici e manipolabili: in questo contesto il benessere interiore è molto difficile da raggiungere. La condizione nichilistica e solipsistica di questi tempi, e perfettamente rappresentata dalla ricorrente immagine dell’uomo ipnotizzato dal suo smartphone, simboleggia l’ideale celebrazione della solitudine dell’uomo-merce del tutto privo della facoltà di pensare criticamente. Ecco, io credo che oggi la filosofia sia uno strumento importante, finanche imprescindibile, perché capace di marginalizzare gli elementi degeneri e dannosi della storia.
Oggi l’uomo è portato a considerare il proprio miglioramento più importante di quello della società, e questo perché non vi è più alcuna fiducia in ciò che lo circonda. Questo approccio forse è l’unico ragionevole, ma è viziato di inguaribile pessimismo.
Da ciò deriva l’attenzione al pensiero terapeutico orientale e alle sue tecniche di autoconsapevolezza che proiettano l’individuo in un silenzio interiore che non è assolutamente sbagliato o fuorviante, ma può ignorare il contorno sociale in cui il praticante è concretamente inserito.
Al contrario, in una prospettiva filosofica occidentale, l’uomo deve tornare ad animare un dibattito pienamente inclusivo e a non fuggire da questo: il soggetto, per dirla con Gentile, deve tornare a relazionarsi con l’altro, riscoprirlo per riconquistare la propria autentica e originaria dimensione intersoggettiva.
Credo che oggi un buon terapeuta, un buon counselor, un buon filosofo debba saper considerare entrambe queste prospettive.
D: Come filosofo e come uomo cosa augurerebbe a: un giovane oggi? Un anziano? Una madre di famiglia? Una persona che ha perso la speranza?
R: È necessario cercare e trovare un senso alla propria vita. Bisogna darsi un compito, un obiettivo da raggiungere e questo lo si può fare solo conoscendosi. Non bisogna perdere la strada che si è deciso di intraprendere e bisogna accuratamente evitare ciò che sappiamo produrre dolore e che annienta il nostro benessere e la nostra capacità d’essere felici.
Bisogna essere forti per affrontare le avversità e per recidere legami dolorosi, non bisogna farsi intimorire da situazioni che sembrano più grandi di noi: a volte siamo solo sopraffatti da ciò che riteniamo invincibile e immodificabile. Eraclito ci ha insegnato che tutto si trasforma; così può succedere che una situazione negativa si traduca nel tempo in qualcosa di assolutamente differente, o ciò che sembrava per noi drammatico diviene qualcosa di totalmente privo di importanza. La vita non è facile per nessuno ma se non perdiamo la calma e la necessaria fiducia in noi stessi, potremo raggiungere la piena soddisfazione e il nostro benessere.
In un vecchio libro di storia greca che lessi tanti anni fa, si raccontava un episodio al quale penso spesso. È la storia di una battaglia tra due poleis. Dopo molte sofferenze da ambo gli schieramenti ecco giungere l’agognata pace.
I vincitori sono esultanti e gli sconfitti devono sgomberare dalle loro amate case. Così ogni famiglia cerca di portare con sé tutto quello che può: all’immagine della fiumana di gente, si accompagna quella del bestiame, dei carri e dei carretti pieni di ogni cosa. Ma tra questi un soldato scorge un uomo magnificamente sereno, riconosce un suo vecchio maestro di filosofia e questi curiosamente con sé non ha nulla, nemmeno un sacco. Incuriosito lo ferma e gli chiede perché non portasse alcunché con sé. Ma serafico il maestro rispose: “Mi basta la mia anima!”.
Così a volte mi capita di pensare che dovremmo ripartire proprio dall’essenzialità, dalla semplicità che abbiamo perduto… noi non siamo nessun profilo di nessun social network, e non siamo nemmeno quello che abbiamo o quello che ci manca… noi siamo davvero molto più di quei futili feticci coi quali ci hanno insegnato a vestirci.
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