Imparare dagli errori: la tolleranza e il valore dell’umiltà

Imparare dagli errori

Gli errori come fonte di crescita personale e professionale

di Anna Fata

Oggi viviamo in una società fortemente competitiva, arrivista, basata sull’apparenza, il successo, la prevaricazione, lo schiacciamento di chi non la pensa come noi, di chi non ha altrettanto successo, umano, professionale, economico, di chi non mostra emozioni sempre positive, forti, prorompenti.

Vige la riuscita al primo tentativo, l’infallibilità, l’onniscenza, l’onnipotenza, o almeno l’illusione di possedere tali talenti. Chi resa indietro viene irrimediabilmente schiacciato. Chi cade, si dilunga, compie errori viene additato come incompetente, incapace, sbagliato, non abbastanza volitivo, pigro o sfortunato, come se fosse la peggiore forma pestilenziale che potrebbe cogliere e da cui stare debitamente alla larga.

In realtà, nessuno è infallibile. Tutti siamo caduti, fin da piccoli, ci siamo rialzati, siamo caduti infinite volte e di nuovo rialzati, magari anche da adulti.

Anche e soprattutto le persone che hanno riportato i maggiori successi, in verità, hanno collezionato una ingente pletora di errori, ma ciò che li ha condotti ai loro successi non è solo il fatto che hanno reagito costruttivamente alle sconfitte, ma soprattutto che hanno imparato qualcosa di utile da esse.

Non basta sapersi rialzare infinite volte, per non perseverare nel negativo, occorre comprendere cosa si è sbagliato e rimediare di conseguenza. Questo secondo passaggio è tutt’altro che scontato.

Il Complesso di Dio e l’intolleranza agli errori

Soprattutto l’ambiente lavorativo è quello in cui maggiormente si manifesta il cosiddetto “Complesso di Dio”, che comporta la celebrazione delle proprie abilità, infallibilità, talenti, l’intolleranza agli errori, propri e altrui, che può limitare fortemente la nostra capacità di risolvere i problemi.

Per poter apprendere nuove cose, acquisire nuove abilità, compiere nuove esperienze, occorre procedere per prove ed errori. In questo processo possiamo contare su un maggiore o minore margine di libertà ed essere responsabili per essa.

Quando abbiamo in noi il Complesso di Dio ci illudiamo di sapere già tutto, di possedere già tutte le risposte, in questo senso diventa quasi impossibile imbattersi in qualcosa di nuovo, perché un filtro dentro di noi ce lo impedisce e ci porta a cogliere solo ciò che è già noto.

Al limite, quando sbagliamo non solo non riconosciamo le nostre responsabilità, ma addirittura possiamo giungere a negare l’evidenza dei fatti. Questo genera una paralisi dentro e fuori di noi.

Il valore dell’umiltà

Secondo Tim Harford un valido antidoto contro la nostra ostinazione a non ammettere i nostri errori può essere l’umiltà, che può diventare una vera e propria tecnica per la risoluzione dei problemi.

L’umiltà è un sentimento e una disposizione comportamentale tale per cui si è consapevoli dei propri limiti e distaccati da ogni forma di orgoglio e sicurezza eccessivi di sé. Comporta modestia, riverenza, riservatezza, autonomia emotiva e assenza di competizione.

Essere umili non significa farsi prevaricare, essere servili, sacrificarsi al limite del martirio, evitare il conflitto al fine di apparire sempre buoni, concilianti, o per non offendere gli altri.

E’ una sorta di neutralità emotiva nella quale risulta assente la tendenza a volersi sentire superiore o inferiore agli altri. Ci si sente alla pari, in virtù della comune umanità.

Oggi, forse, potrebbe essere utile riscoprire l’umiltà e il suo vero valore.

Imparare dagli errori

La persona umile conosce i suoi limiti, a volte cerca di superarli, sperimenta, si mette alla prova, talvolta compie degli errori, ma è disposto a riconoscerli, ammetterli, e se è possibile rimediarvi o fare del proprio meglio la volta successiva, alla luce dell’apprendimento conseguito.

Compiere errori, esserne consapevoli e assumersene la responsabilità può comportare del dolore, ma esso è proprio ciò che consente di compiere dei passi avanti nel proprio cammino di crescita personale e professionale.

La nostra stessa intelligenza può accrescersi, grazie alle modifiche neuro cerebrali che i nuovi apprendimenti offerti dall’apprendimento tramite gli errori possono apportare. A quel punto si può innescare un circolo virtuoso tale per cui ad apprendimento seguono altri apprendimenti, grazie a questa disponibilità interiore che diventa una nuova preziosa abitudine.

La disponibilità ad imparare dagli errori si apprende fin dall’infanzia, in famiglia e a scuola, si può consolidare successivamente o anche acquisire ex novo anche da adulti.

Purtroppo le attuali pressioni sociali, scolastiche, professionali non sempre favoriscono questa disposizione mentale. Chi ne fa le spese è soprattutto chi ha di suo una bassa autostima e sicurezza in sé. Per tale motivo tali persone più di frequente rinunciano a priori in qui contesti in cui sentono di non avere la sicurezza matematica di farcela.

Apprendere a compiere errori a scuola

I risultati migliori per imparare per prove ed errori si ottengono se si coltiva fin da piccoli questa disponibilità.

In questo processo poter ricevere dei feedback da parte di persone più esperte e qualificate può essere assi utile, istruttivo e motivante. Ciò consente di comprendere più agevolmente le ragioni per cui si è sbagliato, cosa e come ci si è indirizzati su una strada non consona, se e come è possibile cambiare le cose e come evitare in futuro tale pecca.

A scuola gli insegnanti possono veicolare questa cultura tramite la condivisione degli errori, la partecipazione, l’esplorazione, la curiosità. Spronare i giovani a effettuare dei tentativi con la dovuta strategia e convinzione può essere la strategia migliore quale alternativa a rinunciare a priori.

Nelle società occidentali, in genere, gli errori si associano al pregiudizio di essere svogliati, disattenti, non motivati, scansafatiche, falliti o poco intelligenti. Al contrario, in oriente i metodi didattici prevedono l’assegnazione del compito di risolvere i problemi a priori mentre gli insegnanti intervengono con indicazioni, strategie o soluzioni solo dopo che gli allievi hanno compiuto numerosi tentativi.

Grazie a questa diversa tecnica educativa in oriente errori, sviste, confusione, smarrimento, rappresentano una parte fisiologica del processo stesso di apprendimento. Questo non solo li rende mediamente più tolleranti agli errori, ma pare che sia anche la causa di migliori performance  a scuola, specie nella matematica.

Come diventare più tolleranti agli errori

Non tutto è perduto, però. A qualsiasi età, momento di vita o contesto è possibile diventare più abili nello sperimentare nuove soluzioni, eventualmente compiere errori, riconoscerli e imparare da essi.

A seguire 5 passi per incrementare la tolleranza e l’apprendimento dagli sbagli:

1. Assumere un atteggiamento per prove ed errori

Soprattutto negli ambienti professionali ammettere i propri errori può essere molto difficile. I leader, in particolare, possono soffrire di tale limite per il timore di essere percepiti come persone deboli e fallibili.

In realtà nessuno è infallibile e compiere e ammettere i propri errori può rappresentare un ottimo modello per i propri dipendenti che si sentono a loro volta ispirati per esplorare, sperimentare, trovare nuove strade e strategie.

2. Riconoscere i propri errori

Fin da piccoli, soprattutto in occidente, veniamo educati ad assumere atteggiamenti competitivi, orientati alla eccellenza, al successo, al perfezionismo. In verità nessuno è perfetto e prima o poi siamo destinati a prenderne atto.

La reazione di fronte alla percezione dei propri limiti può essere pacata, pacifica, equilibrata, oppure al limite del devastante.

Saper accettare la propria fallibilità implica gentilezza, cura, compassione verso se stessi, che si può estendere anche verso gli altri. In famiglia, al lavoro, nel tempo libero, ogni contesto rappresenta un’ottima occasione per mettersi alla prova in tal senso.

3. Trasformare gli errori in apprendimenti

Essere disposti a mettersi alla prova, anche in situazioni a rischio, nuove, insicure, non basta. Non è neppure sufficiente saper riconoscere le proprie manchevolezze, ma è indispensabile apprendere la lezione insita in tali esperienze.

Quando, dove, come, perché si è sbagliato, quali erano gli obiettivi, che cosa nello specifico è andato storto, perché, che cosa si potrebbe compiere di diverso la volta successiva sono alcune delle riflessioni a cui ci si dovrebbe dedicare.

4. Definire gli errori, non etichettare se stessi

Il comportamento più deleterio che possiamo esercitare è prendere sul personale quanto accade. Si tratta di dare un nome, definire e comprendere quanto accaduto, non di etichettare se stessi.

Si è compiuto, per varie ragioni, un errore, ma non per questo la nostra persona è “sbagliata”. Non esistono tare congenite in noi solo per una nostra svista. Un comportamento non definisce mai completamente né esaustivamente un individuo.

Distruggere se stessi non è mai la soluzione, lo è, invece, capire e rimediare alle circostanze in cui ci si trova.

5. Rischiare

Se siamo stati allevati all’insegna di un modello perfezionistico può essere molto faticoso rapportarci ai nostri errori. Quando ci si prova, specie all’inizio, ci si può sentire svalutati, inferiori, sfiduciati, può calare l’autostima e sorgere un senso di arrendevolezza.

Nel lungo periodo, però, i benefici di questo nuovo atteggiamento possono manifestarsi e condurci a migliori performance.

Questa maggiore umanità ci può anche indirizzare verso gli altri, al fine di essere aiutati. Non sempre, infatti, si può fare tutto da soli e i migliori successi possono essere frutto di un proficuo lavoro di squadra.

Rischiare, in questo senso, ci può permettere di aprire nuove strade che altrimenti magari non avremmo mai percorso.

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