La paura delle malattie e il timore del contatto con l’altro
di Anna Fata
Hai un leggero mal di pancia e immediatamente ti rivolgi al medico? Hai un lieve mal di testa e subito corri a cercare nel Web le possibili cause, preoccupandoti delle diagnosi più infauste? Spendi ingenti somme di denaro ogni anno per viste e esami medici che nella quasi totalità dei casi non segnalano alcuna patologia? Le malattie sono uno dei tuoi pensieri più ricorrenti?
Forse anche tu soffri di ipocondria. Il termine ipocondria deriva dal nome greco della regione superiore dell’addome, tra le costole e l’ombelico, che si chiama ipocondrio.
Cos’è l’ipocondria?
L’ipocondria è una preoccupazione eccessiva legata al sospetto di avere qualche malattia seria. In genere questa sensazione conduce la persona a rivolgersi continuamente al medico, a fare ripetuti esami diagnostici e insistere in questa direzione, nonostante le evidenze cliniche non indichino alcuna patologia o magari non seria come tali persone credono.
L’individuo ipocondriaco si allarma di fronte ad ogni minimo sintomo fisico o psicologico e nessuna rassicurazione medica ha potere su di lui. Spesso questi timori influenzano negativamente le diverse aree di vita, sociale, familiare, professionale. In genere l’ipocondria si accompagna ad altri disturbi psicologici, disturbo bipolare, depressione, disturbo ossessivo compulsivo, fobie, somatizzazioni, disturbo d’ansia generalizzato. Per essere definita ipocondrica una persona deve avere questi sintomi per almeno sei mesi.
Il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders 5 (DSM-5) considera l’ipocondria un disturbo somatico o un disturbo d’ansia, a seconda se sono presenti somatizzazioni o meno. Pare che in America circa il 3-5% dei consulti medici vengano effettuati proprio da persone ipocondriache con notevoli costi sia individuali, sia per il sistema sanitario. Si calcola che il dispendio economico medio prodotto da questi pazienti sia circa 10 volte quello di altre persone. Inoltre, anche tutte le visite e gli esami a cui queste persone si sottopongono sembra che non sia in grado di alleviare il loro disagio interiore.
La disponibilità illimitata del Web pare che abbia in parte contribuito a questo fenomeno, al punto che si è coniata l’espressione cybercondria per indicare la ricerca incessante in rete di notizie e informazioni relative alle malattie e al proprio stato di salute. Spesso questa ricerca spasmodica nel Web, ma anche in televisione, sui libri, nelle riviste può condurre a raccogliere informazioni distorte e magari anche allarmanti.
Come sorge l’ipocondria?
Ad oggi non si hanno certezze circa le cause dell’insorgenza dell’ipocondria. Un’ipotesi propende per la presenza di un genitore o caregiver che si è dimostrato eccessivamente preoccupato della salute, che si è comportato in modo molto protettivo, che ha sofferto a sua volta di ipocondria. Pare che ci sia una incidenza legata alla familiarità, una forma di comportamento appreso, ma non esistono evidenze ad oggi legate alla trasmissione genetica del disturbo. Un comportamento eccessivamente focalizzato sui rischi alla salute può avere contribuito a fare percepire il mondo come un luogo pericoloso, minaccioso, insicuro.
In genere i primi esordi si manifestano mediamente a 25-35 anni, ma in realtà possono comparire ad ogni età. Pare che possano esserci delle remissioni di tale disturbo nel tempo, a volte anche una sua completa scomparsa, ma in molti casi il disturbo tende a cronicizzarsi, soprattutto se non adeguatamente trattato.
Non si conoscono modi per prevenirla, ma ci sono efficaci possibilità di cura.
Quali sono i fattori di rischio?
Nonostante le cause ad oggi non siano note con certezza, esistono dei fattori che possono accrescere il rischio dell’insorgenza dell’ipocondria: i fattori di stress della vita (ad esempio un lutto, un divorzio, la perdita del lavoro), i sintomi di una malattia fisica, una storia di abusi durante l’infanzia, una storia di malattie da piccoli, la presenza di altri disturbi mentali (es. ansia, depressione, disturbo ossessivo compulsivo, disturbi psicotici).
L’ipocondria è un disturbo più serio di quanto spesso si crede e come tale va trattato. Se trascurato, infatti, soprattutto se accompagnato da una depressione clinica, può portare allo sviluppo di intenzioni di suicidio.
Come si manifesta?
Sul piano clinico sono state individuate diverse forme di ipocondria. Secondo Brian Fallon e Arthur Barsky della Columbia University si possono delineare tre tipi di ipocondria: un tipo ansioso-ossessivo, in cui la persona manifesta ripetute preoccupazioni, richiede rassicurazioni continue e non riesce a togliersi dalla testa che è affetto da qualcosa di molto serio e per questo si reca di continuo dal medico.
Il tipo depressivo va dal medico ripetutamente, piangendo, lamentandosi di avere qualche malanno incurabile e di essere sul punto di morire, oppure non ci va affatto per timore di avere le conferme ai suoi sospetti. Questa tipologia è a rischio di suicidio anche perché è molto difficile che prenda consapevolezza dell’irrazionalità delle sue convinzioni.
Il tipo somatoforme manifesta diversi sintomi fisici, ritiene di avere qualcosa di molto serio, ma senza necessariamente catastrofizzare. Di frequente si rivolge al medico perché desidera conoscere e risolvere le cause dei suoi malesseri.
Secondo Fallon e Barsky pare che, in realtà, questo disturbo sia ampiamente sottostimato e che circa il 25% dei disturbi che i medici non riescono a spiegare possano essere ricondotti a qualche manifestazione di ipocondria. Nella loro esperienza hanno rilevato che le persone affette da ipocondria hanno degli aspetti in comune con coloro che sono affetti da sindrome ossessivo compulsiva perché si preoccupano eccessivamente e si sentono costrette a fare sempre qualcosa, una visita, un esame, una terapia. Si ipotizza che una delle cause sia da ricondurre ad un eccesso di produzione di citochine
Quali sono i significati psicologi?
Alcuni psicologi e psicoanalisti hanno provato, nel tempo, a offrire una spiegazione simbolica dell’ipocondria. Ad esempio, Dolores Albarracin ha ipotizzato che queste persone non cercano, in realtà, una cura per le loro malattie, ma un testimone per le loro sofferenze. Questo comportamento pare che sia dovuto alla mancanza di una madre interiore sufficientemente buona che sia interessata ai sintomi del bambino e capace di esprimere la sua empatia per i suoi dolori. Di conseguenza queste persone si rivolgono al medico come figura onnipotente che però inevitabilmente le delude e il dottore, da figura inizialmente idealizzata, viene iper criticata per la sua incompetenza, mancanza di empatia e sensibilità verso i loro dolori. Questo atteggiamento poi tende anche a dilatarsi verso il partner, i genitori, i parenti e tutte le persone intorno che vengono allontanate in quanto incapaci di aiutare, sostenere, comprendere, rispettare.
La mente, inoltre, è molto potente al punto da arrivare a convincersi della realtà e concretezza di ciò in cui crede e sente, ecco perché è tanto difficile scalfire alcune certezze. Come se non bastasse, secondo Suzanne Koven ogni malattia è psicosomatica, quello che può differire è il grado di coinvolgimento della mente e del corpo. Ad esempio, un semplice mal di gola può alimentare delle emozioni e dei pensieri (es.: il tempo sottratto ad attività piacevoli, al lavoro, alla famiglia, il senso di colpa, di noia, di rabbia) e le emozioni possono comunicare tramite il linguaggio del corpo (es.: un improvviso dolore di stomaco durante una discussione concitata e rabbiosa).
Ciascuno di noi ha la sua personalità, gli ipocondriaci pare che inconsciamente riescano a ricavare qualcosa dal loro ruolo di malati. Ruminare mentalmente sulle malattie può essere un sintomo comune a diversi disturbi, oltre un certo limite, però, può diventare una vera e propria patologia.
Quali sono le cure?
Di fronte ad una psicoterapia gli ipocondriaci sono molto resistenti, anche perché per loro è difficile ammettere che i loro problemi sono più psicologici che non fisici. Per tale motivo è necessario tenere presente che per tali pazienti la malattia è parte costitutiva della loro stessa identità. Perdere la malattia significa smarrire il senso del proprio sé. Inoltre, gli ipocondriaci hanno bisogno di un testimone del loro stare male, devono sentirsi dire che quello che provano e sentono è reale, devono percepire con chiarezza che chi ascolta crede alle loro parole.
Pare che esitano delle prove di efficacia della terapia cognitivo-comportamentale per la cura dell’ipocondria. Essa sembra che riesca a ridurre le ruminazioni mentali, i sintomi ansiosi e depressivi. Si basa sull’esposizione progressiva si prende in esame una ossessione e ci si confronta direttamente. Ad esempio, se si teme di essere contagiati dall’AIDS si può trovare il modo di trascorrere del tempo con una persona ammalata al fine di imparare ad evitare l’allontanamento e la fuga da ciò che spaventa.
All’inizio si può provare ansia, ma lentamente, con esposizioni successive essa si riduce in modo da arrivare alla presa d’atto che si tratta di una paura e non della realtà.
Nel tempo sono stati testati anche dei farmaci antidepressivi. Ad esempio, una ricerca condotta presso la Harvard Medical School ha confrontato gli effetti del placebo, della terapia cognitivo comportamentale, di un antidepressivo (Prozac) e della combinazione della terapia psicologica più quella farmacologica. Quest’ultima soluzione è risultata la più efficace per il trattamento dell’ipocondria.
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