Mi è restata impressa saldamente nella memoria una affermazione di un collega molto più maturo anagraficamente e professionalmente, che egli pronunciò in quelli che per me erano i primi anni di formazione e di azione nel mondo della psicologia, e che di tanto in tanto mi ritorna alla mente.
Ricordo ancora il vissuto di stordimento quando lo sentii criticare aspramente il senso di entusiasmo che caratterizza le persone, specie quelle giovani e, peggio ancora, quelle più avanti negli anni. Secondo il suo pensiero, le persone realmente mature sono quelle che di fronte alle situazioni sanno mantenere una condizione di equilibrio, privo di estremismi.
La seconda parte della sua affermazione mi è sembrata fin da subito condivisibile, ma è la prima che mi ha lasciata e tuttora mi trova piuttosto perplessa.
Partiamo dalla definizione: l’entusiasmo è una forma di commozione di viscere, una agitazione interiore, una forma intensa di gioia, di meraviglia, di ammirazione interiore che secondo i Greci antichi erano sinonimo di ‘Dio dentro’. Esso veniva ad essere identificato con una forza che è insita in ciascuno di noi, una forma di ispirazione (anche poetica), che è disponibile se e quando ci accingiamo ad attingerla.
Attualmente il termine ha perso quasi completamente la sua connotazione religiosa, per rappresentare una devozione accorata ad un ideale, una causa, un obiettivo, un eccitazione profonda per la situazione che si sta vivendo.
Sia che decidiamo di accettare la definizione più arcaica, sia che optiamo per quella più moderna, la forza emotiva sottostante resta immutata: una commozione profonda, un senso di coinvolgimento che si manifesta anche a livello fisico.
Strettamente imparentate all’entusiasmo sono la meraviglia e lo stupore.
La meraviglia è un senso di viva sorpresa di fronte a qualcosa di nuovo, di inatteso, di straordinario, mentre lo stupore è una forma di meraviglia grande, intensa, che in termini medici coincide con un arresto completo della motilità volontaria e con un indebolimento dell’attività psichica. Quest’ultimo, inoltre, è stato paragonato ad una scintilla da cui parte ogni cosa, soprattutto in ambito scientifico, in cui è necessario imparare a sorprendersi dei fatti semplici che a loro volta sollevano riflessioni assai complesse, e in quello religioso in cui si deve poter effettuare il passaggio dal nulla all’esserci.
Esiste un’unica forma di stupore che spinge alla riflessione sui fatti e sull’esserci, per questo è necessario compiere un percorso che ci porti a imparare a viverlo di fronte alle piccole cose: solo effettuato questo possiamo stupirci di fenomeni sempre più ampi. Si tratta di attuare un cambiamento di prospettiva che comporta anche un elevato grado di fiducia. Sia che ci si af-fidi alle scoperte di uno o più scienziati che ci hanno preceduto, sia che si abbia fede nelle testimonianze di vita di persone che hanno vissuto nella Palestina del I secolo poco cambia: si tratta di assumere su di sé lo stupore e la forza di chi è venuto prima di noi.
Se, forse, l’entusiasmo, secondo la definizione più recente pecca di una maggiore superficialità rispetto a quella originaria, perché sembra faccia riferimento ad un’assunzione acritica di quanto ci si presenta (di fatto assente in quella più arcaica, in quanto arricchita dalla sacralità del divino), la meraviglia e lo stupore rappresentano una più matura evoluzione del primo che presuppone un cammino di crescita interiore che si esplica nella quotidianità, ma allo stesso tempo si apre a trascenderla. Quel che resta costante in questi casi è l’ampia preponderanza della componente emotiva che, tuttavia, cerca di conciliarsi con gli aspetti più razionali.
Amo portare sempre dei piccoli esempi che possono rappresentare un modello di ispirazione e di pratica nella vita quotidiana. Sono dell’idea che quanto più il ventaglio interiore di emozioni che ciascuno di noi è in grado di provare, tanto più la vita emotiva è ricca, profonda e soddisfacente. Non mi sento, per questo, né di condannare né di bandire l’entusiasmo, ma invitare a trovare il modo di calibrarlo adeguatamente con lo stupore e la meraviglia. Mi piace pensare che ciascuno di noi possiede una personalità multisfaccettata e che in questa vi si ritrova anche un aspetto più ludico, infantile, che è quello che maggiormente si lascia coinvolgere nell’entusiasmo. Poi, tra le altre, c’è quella più matura, più portata alla riflessione, che si intreccia alla precedente: la prima è quella che ci fa saltare di gioia se vinciamo un terno al lotto, la seconda è quella che di fronte alle nuove gemme di un albero in primavera ci commuove e allo stesso tempo ci induce a pensare che ci deve essere ‘qualcosa’ o ‘qualcuno’ deve avere creato per noi dei doni così grandi e che costantemente ce li ripropone.
Di fronte ad un’emozione, quindi, credo che non si possa procedere con una logica razionale, classificatoria, del tipo questa va bene-questa va male, ma che si debba essere aperti e accoglienti verso ciò che si presenta, consapevoli, rispettosi. Imparare a chiedersi più e più volte nell’arco della giornata: “Come sto? Come mi fa sentire questa situazione?”, imparare a elaborare le risposte, modularle secondo il proprio stare bene e non secondo codici rigidi e prestrutturati, questa può essere la strada.
Anna Fata
(fonte immagine: http://www.santalessandro.org/2014/07/regno-dio-stupore-meraviglia/)