Perché i vanitosi non sempre sono narcisisti
di Anna Fata
Oggi se ci sia guarda attorno, nel Web, nei Social, sulle riviste di gossip, nelle trasmissioni di intrattenimento televisivo, in alcune discussioni vis a vis quotidiane, una delle manifestazioni che maggiormente saltano all’occhio può essere quella della vanità.
Molti di noi tendono a mettersi al centro, parlano di sé, dei propri meriti, delle virtù, delle prodezze, delle imprese. Accentuano i talenti, calcano la mano con immagini accattivanti, si mostrano impegnati, ricercati, amati, ambiti e, in ultima analisi, soddisfatti, realizzati, felici.
Cosa c’è dietro questi comportamenti? Quanto sono veramente autentici?
Cos’è la vanità
La vanità si può definire come un’eccessiva credenza nelle proprie capacità e attrazione verso gli altri. In senso etimologico il termine si associa a vuoto, inutile, futile, inconsistente, fugace, inane, più basato sull’apparenza che non sulla sostanza. In questo senso la connotazione che ne deriva è negativa.
Anche se prima del XIV secolo il termine non era sinonimo di narcisismo, in ambito filosofico andava comunque di pari passo con egoismo e superbia. Nel contesto religioso era una forma di auto idolatria e rappresentava una concretizzazione di uno dei sette peccati capitali, la superbia.
Il vanitoso cerca di realizzare una sua immagine perfetta da esibire agli altri, si accompagna più alla superficialità che non ad un intento deliberatamente malevolo, si può affiancare a ambizione, presunzione, alterigia.
Cosa si cela dietro la vanità
Una ricerca condotta presso la Humboldt University di Berlino da Doreen Bensch e Colleghi chi sono le persone che cercano a tutti i costi di impegnarsi in questa particolare impresa di gestire la propria immagine di fronte agli altri.
Si è partiti pertanto dall’ipotesi che questi individui avrebbero calcato la mano proprio sulle risposte ai test psicologici che avrebbero permesso loro di creare una ottima impressione sugli altri. Ad esempio, una forma di auto elevazione consiste nella desiderabilità sociale, in cui si tende a non ammettere dei propri comportamenti che potrebbero esporci ad una luce poco lusinghiera agli occhi altrui. Una eventualità potrebbe essere assicurare che le proprie buone maniere a tavola, a casa, sono identiche a quelle che si adottano al ristorante, oppure che non ci si offende se ci viene chiesto espressamente di restituire un favore.
I modi di auto elevazione e distorsione della propria immagine possono assumere forme differenti. Ad esempio, oltre a non confessare lati di sé che potrebbero risultare poco ambiti, accettati, desiderabili, un’altra modalità può essere quella di arrogarsi conoscenze ed esperienze che, di fatto, non si possiedono. Si può fingere di parlare per sentito dire, si possono citare stralci di libri in verità mai acquistati né letti, si possono millantare esperienze ed abilità mai possedute.
Oppure, molto semplicemente, ci si può definire in una luce migliore, più desiderabile e appetibile rispetto a quanto in realtà si possa essere. Questa è una sorta di presunzione ed eccesso di fiducia e sicurezza. Ad esempio, si può raccontare di avere svolto un lavoro velocemente e senza alcuna fatica, quando, in realtà, si è impiegato molto più tempo e con grande difficoltà.
Come si misura la vanità
Nel complesso, la desiderabilità sociale, l’arrogarsi qualcosa che non si possiede, l’eccesso di fiducia in se stessi formano una “rete nomologica” che riflette una distorsione complessivamente positiva.
Bensch e Colleghi hanno ipotizzato che la vanità si possa correlare al narcisismo grandioso e ai 5 grandi Tratti della Personalità compresi nella Teoria dei Big Five, Nevroticismo, Estroversione, Amicalità, Apertura all’Esperienza, Coscienziosità.
Per verificare questa ipotesi sono stati somministrati dei questionari online a un gruppo di studenti universitari tedeschi di età media di 25 anni, di cui il 58% donne. All’interno di essi erano comprese delle misure dell’intelligenza cristallizzata, cioè conoscenze di cultura, di vocabolario e altre informazioni generali.
La misurazione relativa all’arrogarsi qualcosa che non si possiede è stata realizzata tramite questionari che comprendevano affermazioni di cultura popolare, nello specifico di scienze fisiche, educazione civica, scienze umanistiche, che in realtà non avevano fondamento. Gli intervistati dovevano valutare quanto conoscevano bene le affermazioni in oggetto. Se, ad esempio, si trovavano d’accordo con termini o affermazioni inesistenti veniva assegnato un punto.
Il vanitoso è veramente narcisista?
Dalla combinazione finale delle misurazioni dei tre fattori relativi alla vanità è emerso un indice di distorsione positiva della propria immagine che è in relazione al complesso della propria personalità, compreso il narcisismo grandioso.
E’ risultato che arrogarsi conoscenze, competenze, esperienze che non si possiedono non ha a che fare con la desiderabilità sociale, la personalità né l’intelligenza. Può essere un comportamento correlato ad una esigenza di auto esaltazione, ma non è solo un modo per gloriarsi, apparire di più o meglio di ciò che si è, ma un modo apparire familiari con qualcosa con cui di fatto non lo si è. In pratica sembra un non poter fare a meno di fingere un po’.
In tutto questo complesso processo sembra che il narcisismo non c’entri alcunché solo perché le persone vanitose traggono piacere dal fare bella mostra di sé.
In conclusione: auto esaltarsi un po’ non è necessariamente indice di narcisismo o finalizzato ad ottenere chissà quale obiettivo recondito, magari anche a detrimento del prossimo. Nella maggior parte dei casi è semplicemente frutto del bisogno di apparire intelligenti, belli, brillanti. Se a volte, quindi, a molti di noi può accadere di cadere nella tentazione di vantarsi un po’, non c’è alcunché di male, ammettendo che, tutto sommato, tutto questo ci può piacere anche molto.
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