Perché rimaniamo in una relazione, anche se ci fa male
di Anna Fata
Investiamo giorni, mesi, anni in una relazione, magari la formalizziamo anche con un rito civile o religioso, in solitudine, o davanti a un nutrito numero di conoscenti, amici, parenti, ci esponiamo quotidianamente sui Social, nei luoghi fisici che frequentiamo, salvo poi un giorno renderci conto che non siamo felici.
Magari è una sensazione passeggera, che si intreccia e alterna a momenti di piena gioia, condivisione, scambio, collaborazione, a tratti anche di vero amore. Magari, invece, è una sensazione più radicata, di fondo, che non se ne va, nonostante qualche momento di maggiore leggerezza. Magari è prendere atto che qualcosa c’è stato, si esaurito e semplicemente non c’è più. Oppure, alla peggio, si tratta di realizzare che, in verità, ciò che ci aspettavamo, che credevamo di avere costruito, conquistato, in verità non esiste o non rispecchia quelli che potevano essere stati i nostri obiettivi iniziali.
Fatto sta che ci troviamo ad un bivio: e ora cosa faccio? Come mi comporto con questa relazione, con il partner, con me stessa? E se sono nati anche dei figli, che magari non sono neppure maggiorenni e riteniamo che abbiano molto bisogno di noi? Fino a che punto posso o voglio sacrificare la mia felicità in nome di uno status quo, di un quieto vivere? Quanto sono disposto a rinunciare anche a quel poco che posso avere in una relazione infelice, a rischiare di perderlo, in nome di una speranza di futura felicità, da solo o con qualcun altro?
Tanti sono i dubbi, le paure, le speranze, i sogni, le aspettative che in tali momenti ci possono cogliere e rispetto ai quali non sappiamo che direzione intraprendere.
A quel punto rimandiamo, agiamo d’istinto, oppure compiamo un atto di coraggio ed affrontiamo, passo dopo passo, la situazione.
Primo: comprendere perché stiamo con il nostro partner
Secondo la American Psychological Association il 90% delle persone sposate all’età di 50 anni al 50% divorzia. In genere sono persone insoddisfatte della loro situazione, che diventa sempre più tossica e insostenibile.
L’altro 50% in molti casi semplicemente si limita ad accettare quello che sta vivendo, piacevole o non che possa essere, arrivando a razionalizzare i motivi per cui si decide di restare col partner, nonostante l’infelicità, anche se di rado individua le reali motivazioni del mantenimento di questo stato di fatto.
Ad esempio, tra le motivazioni più ricorrenti che si adducono vi sono i figli, che si ritiene abbiano bisogno di noi e che ne soffrirebbero troppo da una rottura dei legami di coppia. In realtà si tende a trascurare il fatto che infrangere una coppia non coincide con la rinuncia al proprio ruolo genitoriale, che tale deve sussistere. Inoltre, anche la motivazione che loro hanno bisogno di noi non focalizza appieno il problema, ossia il fatto che spesso siamo più noi ad avere necessità della loro presenza, nascondendo così un legame che di fatto è una codipendenza.
Ultimo non ultimo, mascherarsi dietro una presunta infelicità dei figli in caso di separazione dei genitori non fa altro se non negare la quota di dolore e tristezza che possono provare comunque nel vedere dei genitori che si ostinano a convivere infelicemente insieme, facendo magari finta di niente e adducendolo come una normalità accettabile.
Quando si generano dei figli per motivi evoluzionistici si tende ad avere un istinto di protezione, mantenimento, sopravvivenza nei loro confronti, ma il nostro esseri umani razionali, emotivi, affettivi, ci induce ad andare oltre queste mere spinte materiali per fare i conti con noi stessi e con motivazioni e scopi di vita ben più profondi.
Secondo: perché vogliamo mantenere lo status quo col partner
Diverse ricerche scientifiche hanno riscontrato che l’essere umano, il suo corpo, la sua psiche, tendono a mantenere lo status quo e a cercare di ristabilirlo velocemente qualora venisse turbato.
Secondo la Teoria dell’investimento le persone restano in una relazione per proteggere i loro investimenti più profondi e lasciandoli solo se sentono che ne vale veramente la pena in nome di una alternativa migliore, oppure per infedeltà o per altri problemi seri, o motivazioni molto intense.
Secondo le ricerche effettuate in materia di status quo le persone preferiscono di più stare con un partner di fiducia che non con uno attraente, ma sono disposte a lasciarlo in favore di uno più ricco. Sembra, quindi, che i fattori sociali siano in grado di influenzare pesantemente le nostre scelte in materia di affetti. Se i nostri conoscenti, amici, parenti, colleghi, o la cultura in cui siamo immersi si aspettano che noi restiamo con un determinato partner, noi siamo inclini ad adeguarci.
Terzo: quando prevale uno stile di attaccamento
Un altro fattore che può condizionare pesantemente le nostre scelte affettive, per quanto infelici possano essere, è lo stile di attaccamento. Quando esso è ansioso, con grande preoccupazione per la stabilità della relazione, ci possono essere forti timori e resistenze al cambiamento,
Coloro che, invece, hanno uno stile di attaccamento evitante si aggrappano meno alla relazione e sono propensi ad allontanarsene più facilmente.
Attento se hai un attaccamento ansioso
In due ricerche condotte da George, Hart e Rholes su un totale di 726 partecipanti si è cercato di comprendere perché le persone con stile di attaccamento ansioso tendono a permanere in una relazione infelice più a lungo.
Sono stati misurati diversi fattori con vari strumenti: l’Experiences in Close Relationship Inventory per la valutazione dello stile di attaccamento, il Relationship Commitment and Relationship Satisfaction, che esprime una ponderazione di diversi elementi tra cui impegno e soddisfazione e relative interazioni), una scala per la misurazione della paura del cambiamento, della paura del cambiamento nella relazione stessa e nel secondo studio anche una ulteriore stima dell’investimento nella relazione, della qualità delle alternative tra partner, del timore di restare soli.
Nel primo studio si è rilevato che le persone con attaccamento ansioso hanno un maggiore timore del cambiamento che a sua volta si associa ad un più cospicuo impegno, anche se con minore soddisfazione. D’altro canto anche una minore paura del cambiamento abbassa ulteriormente l’impegno nella relazione, ancora di più che per i partner evitanti.
Nella seconda ricerca è stata confermata l’importanza della paura del cambiamento per le persone ansiose e una sequenza ben precisa:
L’ansia di attaccamento si lega al timore di restare soli, che a sua volta si connette alla paura dei cambiamenti in seno alla relazione che a sua volta sprona verso maggiore impegno e soddisfazione.
Il legame tra fattori si esplica esclusivamente in tale direzione e non viceversa. Sembra, quindi, che chi ha un attaccamento ansioso sia più insoddisfatto della relazione perché tende a permanervi più a lungo di altri. Questo li espone maggiormente alla insoddisfazione, confusione, e tentativo di razionalizzare le reali motivazioni per cui si ostinano a restare con partner, nonostante siano infelici. Essi sembrano sacrificare la loro consapevolezza in nome delle loro insicurezze.
Preferisci la consapevolezza o l’infelicità?
Sacrificare la propria felicità e vivere nell’inconsapevolezza non sembra essere, quindi, un compromesso vincente capace di renderci veramente felici, né di durare troppo a lungo nel tempo. Una cosa è capire una cosa razionalmente, un’altra è comprenderla anche affettivamente ed emotivamente.
Se entrambi i partner si rifiutano di coltivare la loro consapevolezza in nome del quieto vivere una unione può trascinarsi in tali condizioni anche per anni, senza alcuna svolta apparente, né tantomeno efficace per la felicità e la soddisfazione dei partner.
Vivere troppo a lungo nell’infelicità, in una relazione ormai stanca, conclusa, svuotata di significato può contribuire a creare un grande senso di confusione interiore. Non sappiamo più chi siamo, cosa vogliamo, in che direzione siamo incamminati.
Tutto questo ci stressa, ci mette ansia, dissonanza cognitiva. Desideri, aspettative, reali emozioni restano celati e irrisolti a oltranza.
Se decidiamo di sviluppare la consapevolezza più profonda l’orizzonte si può chiarire, anche nel breve o medio periodo e ci si può avvalere dell’incertezza come leva per un proficuo cambiamento.
Il masochismo non è mai amore. Accettare che i cambiamenti accadano, di noi stessi, degli altri, delle relazioni è fisiologico e noi non possiamo più di tanto controllarli. Questo processo ci apre la possibilità anche di nuove, inattese, evolutive situazioni.
Attenzione ai cambiamenti
Alcune ricerche hanno testimoniato che quando si lascia un partner per qualcun altro che a sua volta ha lasciato qualcuno per loro, solo quando tale scelta è reciproca e non quando solo uno dei due sembra “rubare” il partner a qualcun altro comporta una elevata soddisfazione nella relazione. Questo significa che solo le scelte reciproche possono ridurre la quota di incertezza e paura del cambiamento e favorire ambo i partner.
Talvolta, però, per qualcuno la solitudine è la scelta migliore rispetto ad una situazione di coppia.