Superare le divisioni e i diverbi è possibile: Ecco come fare
di Anna Fata
Oggi più che mai, nel panorama sociale, culturale, economico, politico stiamo assistendo alla nascita di fazioni, fondamentalismi, divisioni, prese di posizioni, azioni e conflitti assai intensi, sia a livello nazionale, sia internazionale.
Cosa si cela dietro queste crescenti divisioni e opposizioni?
Se e come si possono superare?
La Separation Theory
Secondo la Separation Theory (o Teoria della Separazione), elaborata da Robert W. Fireston, che integra il sistema psicoanalitico con quello esistenziale, la vita consta di una serie di esperienze di separazione che culminano con la separazione finale rappresentata dalla morte.
A causa della morte che incombe su ciascuno di noi, di fondo tutti dobbiamo fronteggiare una quota di ansia e di agitazione che si risvegliano in modo particolare in concomitanza con ogni separazione che viviamo.
Questi timori vengono compensati, secondo l’Autore, dalla “fantasia di legame”, una sorta di illusione di connessione che se da un lato contribuisce ad alleviare l’ansia, dall’altra espone ad una forma di disadattamento alla realtà.
Le sofferenze legate alle prime separazioni, quindi, unitamente all’ansia legata alla morte, portano alla costruzione delle difese personali per minimizzare tali dolori, ma nel tempo questi meccanismi possono diventare disfunzionali.
Come nascono le polarizzazioni
Nel tempo si tendono a consolidare gli schemi di pensiero e di comportamento. Essi ci possono portare, tra le altre cose, anche a radicare la dipendenza reciproca, le connessioni in funzione di una crescente polarizzazione che vede l’assunzione assoluta di un punto di vista e l’esclusione di tutti quelli che lo contraddicono. Questa polarizzazione e soprattutto l’esclusione di punti di vista alternativi, secondo Fireston, rappresentano il modo di scongiurare l’ansia esistenziale e il panico associato all’inevitabilità della morte di ciascuno di noi.
Come sorge l’istinto distruttivo
Pare che la spinta umana alla distruzione di sé e degli altri sia il risultato degli abusi personali vissuti nell’infanzia e della successiva ansia legata all’inevitabile destino di morte che ci accomuna tutti indistintamente.
Le difese psicologiche che si creano precocemente dentro di noi per fronteggiare tale sofferenze sortiscono un effetto benefico limitato, ma soprattutto predispongono alla distorsione del pensiero e alla alienazione da se stessi e dagli altri.
Questi schemi difensivi possono giungere a livelli tali da farci perdere buona parte della nostra umanità.
La fantasia di legame
La fantasia di legame nasce come illusione di connessione alle figure che da piccoli si sono prese cura di noi, i genitori, o altre persone di riferimento. La sua funzione era inizialmente quella di aiutarci ad affrontare i traumi emotivi a cui possiamo essere stati esposti e l’ansia di separazione.
Nel tempo, la fantasia di legame, estesa ai gruppi e alle comunità sembra in grado di offrire un senso di sicurezza e una parvenza di immortalità di fronte al timore della morte. In realtà, la fantasia di legame, anche se da un lato ci fornisce la sensazione di sicurezza, permanenza, appartenenza, dall’altro lato penalizza l’autonomia, l’individuazione, l’autorealizzazione.
Nella misura in cui questa fantasia ci protegge dall’ansia della morte, si cerca di proteggerla in tutti i modi possibili e questo predispone alla aggressività, all’ostilità, alla cattiveria verso chi sentiamo che la sta attaccando.
Le fonti di possibile minaccia possono essere differenti: usi, costumi, cultura, religione, convinzioni politiche, colore della pelle, sesso, e tutto ciò che ci appare diverso da noi. Il senso di terrore e di minaccia, per lo più inconscio, può essere assai intenso, perché riecheggia le emozioni di dolore dei traumi precoci per questo il senso di repulsione, ostilità, odio può essere assai intenso.
Le convinzioni e i pregiudizi
Per avvallare queste sensazioni ed emozioni, in genere la mente comincia a razionalizzare producendo una lunga serie di pensieri, convinzioni, credenze, pregiudizi che confermano le nostre prese di posizioni, attribuiscono loro una parvenza logica, anche se in realtà in buona parte distorta, che consolidano i vissuti di opposizione e ostilità.
In aggiunta a ciò, si somma la sensazione di essere speciali, superiori, dalla parte della ragione, ci si atteggia in modo presuntuoso, si idealizza il proprio gruppo e il relativo leader esattamente come quando da piccoli si idealizzavano la propria famiglia e i propri genitori.
Questa miscela può diventare, alla lunga, così pericolosa da innescare veri e propri fenomeni di razzismo, discriminazione, bullismo, segregazione, paranoia.
I pregiudizi e i conflitti nella vita quotidiana
Nella vita quotidiana della maggior parte di noi, a casa così come al lavoro, in realtà si assiste solo di rado a fenomeni così estremi, ma i meccanismi che si innescano, anche nelle situazioni marginali, di fondo sono i medesimi.
L’identificazione con il proprio gruppo di appartenenza, qualunque esso possa essere, la propria famiglia, la squadra di calcio per cui si tifa, il gruppo di lavoro di appartenenza, rappresenta l’elemento principale in grado di innescare un conflitto.
Ad esempio, secondo Erich Fromm il timore esistenziale della solitudine e la responsabilità che comporta la libertà possono indurre le persone a compiere azioni disumane che come singoli individui sarebbero inconcepibili. Secondo Ernest Becker il timore della morte e il male sociale possono fare scaturire vere e proprie guerre.
Anche nelle piccole questioni della vita di ogni giorno l’allineamento e l’identificazione con il gruppo e la svalutazione di chi non vi appartiene alimentano il narcisismo, il senso di onnipotenza e di eccesso di importanza. A volte può bastare anche una sola persona che sostiene il nostro punto di vista per farci sentire sicuri, potenti e al riparo dalle nostre ansie.
Questa sensazione pone le basi per il senso di connessione e la fusione con l’altro che a sua volta genera benessere e per certi versi è in grado anche di suscitare un senso di dipendenza.
Come superare pregiudizi, diverbi e conflitti
Alla luce di tutte queste considerazioni risulta evidente come le relazioni umane sono tra gli aspetti di vita da cui non possiamo prescindere, sia nella vita privata, in quella pubblica e professionale, ma che al tempo stesso richiedono notevole consapevolezza, calma, ponderazione, apertura ed equilibrio interiore per poter essere coltivate al meglio.
Coltivare delle buone relazioni umane, che siano aperte, inclusive, arricchenti per tutti coloro che ne sono coinvolti è possibile. Per fare questo la prima cosa essenziale è coltivare la consapevolezza di sé, dei propri pensieri, delle emozioni, delle reazioni, delle azioni, dei comportamenti che siamo soliti mettere in atto.
La conoscenza di sé – che avviene sempre e comunque all’interno di una relazione in cui l’altro rimanda contemporaneamente sia un’immagine di se stesso, sia di noi, tramite lui – va di pari passo con la conoscenza dell’altro.
La conoscenza di sé, così come dell’altro, necessita di empatia, compassione, accoglienza, accettazione, non giudizio, anche se si può essere in disaccordo. Questa è la strada obbligata per poter essere arricchiti dall’incontro e dal confronto con l’altro.
Sapere che l’altro può apportare una prospettiva di vita alternativa alla nostra, a suo modo capace di fornire un valore aggiunto, sapere che non esiste un punto di vista giusto o valido in assoluto e che nemmeno noi stessi lo possediamo, sapere mettere in discussione ogni convinzione, anche la più assoldata, sapere che tutti noi abbiamo le medesime paure di fondo, ci predispone all’altro con la stessa umanità che noi a nostra volta vorremmo ricevere.
Compiere il primo passo verso l’altro pone le fondamenta, volendo, per un lungo cammino congiunto.
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