Cosa ci spinge ad andare da psicologi, counselor, coach
di Anna Fata
Da che mondo è mondo tutti cerchiamo di capire chi siamo. E soprattutto vogliamo stare bene ed essere felici.
Oggi più che mai la ricerca di senso, di scopo, di serenità, di benessere è ai massimi livelli.
Disoccupazione, disagio economico, criminalità, insicurezza sociale, instabilità politica, declino culturale, disastri ambientali, informazioni distorte, creano un clima piuttosto pesante e faticoso da sostenere che conduce a diverse forme di disagio individuale e familiare.
Conflitti coniugali, disturbi dell’alimentazione, somatizzazioni fisiche, insonnia, ansia, depressione, stress, attacchi di panico, sono alcuni dei disturbi che più di frequente ci conducono ad intraprendere un cammino con un professionista del benessere che ci possa aiutare a uscire da questa spirale da cui da soli, o con l’aiuto di amici o familiari non è possibile affrontare.
Cosa cerchiamo, in realtà, quando andiamo da un professionista del benessere?
Una recente ricerca condotta su un campione di 1.003 persone da ENPAP, Ente Nazionale Previdenza e Assistenza Psicologi, mette in luce in modo comparativo che dallo psicologo, cerchiamo soprattutto equilibrio, cura, guarigione, dallo psichiatra cura e guarigione, dallo psicoanalista cura, dal counselor arricchimento e ottimizzazione, dal motivatore valorizzazione e potenziamento, dal life coach ottimizzazione e potenziamento.
Psicologo e psichiatra, quindi, entrano in gioco quando c’è un forte disagio e una profonda necessità di cura, mentre le altre figure professionali sono maggiormente contattati in caso di richiesta di empowerment. Questi ultimi, per certi versi, possono apparire più indicati in termini di miglioramento e/o prevenzione.
La precarietà sociale, economica, valoriale, politica, familiare e di riflesso anche individuale sta facendo nascere nuove forme di disagio poco conosciute fino a qualche anno fa: spiccano solitudine, inquietudine, incertezza, diffidenza, confusione, smarrimento, impotenza, a cui si richiede di rispondere con interventi di rafforzamento di se stessi, aumento della fiducia, dell’autostima, autorealizzazione, autoaccettazione, autonomia.
Chi va dai professionisti del benessere?
La sopra citata ricerca ENPAP traccia un identikit interessante di coloro che si rivolgono ai professionisti del benessere.
Nello specifico si evidenzia un 62% che viene definito come “edonista”, che vede nel’equilibrio emotivo una forma di agio, di gratificazione, è di vitale importanza, è centrato sull’agire. Ha un’esistenza centrata sul successo professionale, le relazioni interpersonali, ambisce al successo, all’autorealizzazione.
Si tratta per lo più di uomini giovani, 18-34 anni, di stato socioeconomico medio-alto.
Il restante 38% è composto da “eudemonisti”, persone che percepiscono l’equilibri emotivo come un beneficio, una conquista progressiva, ottenuta con impegno e lavoro, nel rispetto dei propri bisogni più profondi. Introspezione, affettività, stabilità familiare, salute sono gli elementi su cui si focalizza maggiormente l’attenzione di queste persone. Sono per lo più donne di età medio alta, 55-70, di stato sociale medio-alto.
Come rispondere meglio ai bisogni dei nostri clienti?
Credo che ciascun professionista del benessere, psicologo, psichiatra, coach, conselor, motivatore debba essere sempre più calato nel mondo contemporaneo e concreto. Debba essere in grado di ampliare lo sguardo sul mondo che lo circonda e di cui è parte, imparando ad ascoltare e decifrare le richieste esplicite e implicite delle persone, stimolandole, andando loro incontro.
Ritengo che i social network, i blog, ma anche gli incontri pubblici possano essere degli strumenti imprescindibili per comprendere nel profondo le persone. E’ fondamentale rimettersi ogni giorno in gioco, sia umanamente, sia professionalmente, formarsi e riformarsi ogni giorno, in modo da essere sempre aggiornati e capaci di offrire risposte nuove adatte alle persone, ai tempi, ai luoghi.
Altrettanto basilare è la conoscenza e l’interazione, nonché l’integrazione, con professionisti anche di altre discipline. Un approccio olistico, capace di tenere in considerazione e agire in modo congiunto, coerente, sinergico su mente, corpo, spirito, ambiente ritengo che sia la strada migliore per offrire risposte complesse e problemi sempre più complessi.
Considero altresì essenziale non solo gli interventi in un’ottica di cura o guarigione in caso di disagio conclamato, ma anche e soprattutto in termini di potenziamento e di prevenzione. Esiste una richiesta crescente, infatti, di miglioramento della qualità della vita, individuale, familiare, sociale che ha bisogno di risposte chiare, attive, creative, innovative, al passo coi tempi.
L’obiettivo ultimo è offrire alle persone degli strumenti operativi che le rendono libere di gestire la loro salute fisica, affettiva, emozionale, intellettuale, in ogni spazio e tempo, senza cadere nella trappola della dipendenza da alcuna figura professionale.
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