Come la psichiatria può aiutarci a vivere meglio

marco-lazzarotto-muratori-psichiatra

Intervista a Marco Lazzarotto Muratori
Di Anna Fata

 

Oggi più che mai abbiamo bisogno di salute, benessere e professionisti che ci possano fornire strumenti, strategie per stare meglio con noi stessi e con gli altri. Per perseguire questo obiettivo insieme alla psicologia, alla psicoanalisi, possiamo affiancare a pieno titolo anche la psichiatria.

Oggi, purtroppo, intorno alla psichiatria continua ad aleggiare la fama legata all’eccesso di medicalizzazione dell’approccio alla persona che in parte nel tempo si è costruita. Questa facciata in parte spaventa, sconcerta, mette a disagio le persone, che talvolta, magari impropriamente se ne tengono a distanza.

Chi è lo psichiatra, di cosa si occupa, come può aiutarci a stare meglio con noi stessi, con gli altri. Di questo e molto altro abbiamo parlato con Marco Lazzarotto Muratori, medico psichiatra, a Pesaro, Ancona e Rimini, che ama definirsi “Psiconauta, cinefilo, viaggiatore e gourmet”.

 

D: Chi è lo psichiatra e di cosa si occupa?

R: Lo psichiatra è un medico specializzato che si occupa di tutto quello che concerne la salute mentale; quando il quadro clinico lo richiede, può anche prescrivere farmaci, oppure, in qualità di psicoterapeuta, può prediligere un trattamento verbale, introspettivo, a seconda della sua formazione. Spesso questi due binari procedono contemporaneamente, integrandosi, così da consentire un risultato più stabile.

 

D: Quando una persona dovrebbe rivolgersi ad uno psichiatra e non magari ad uno psicologo, un neurologo o altro professionista della salute mentale ed emozionale?

R: Credo che l’impatto dei sintomi sul funzionamento sociale e lavorativo del paziente siano il discrimine; se, ad esempio, ci troviamo in una situazione di ritiro, di marcato disinvestimento dalle attività quotidiane, di isolamento, di grave sofferenza, in cui il sintomo “blocca” il soggetto nello svolgimento delle sue normali occupazioni, ritengo che l’aiuto di uno psichiatra sia necessario.

 

D: Spesso le persone, ancora oggi, provano una certa resistenza di fronte allo psichiatra, al cosiddetto “medico dei matti” e a quella che può essere in alcuni casi un eccesso di medicalizzazione della cura delle persone con disagi emotivi, affettivi, cognitivi. Cosa potresti dire per rassicurare le persone al proposito?

R: In realtà non sempre è necessario un trattamento farmacologico. Io, ad esempio, nella mia pratica clinica utilizzo molto lo strumento del colloquio, della psicoterapia, che in molti casi rende superfluo l’utilizzo di farmaci. Il concetto di “medico dei matti” è retaggio di un’epoca che fortunatamente oggi non esiste più, quando il concetto di qualità di vita non aveva la stessa importanza che ha oggi. I pazienti che ricevo abitualmente sono di tutte le età e tutte le estrazioni sociali, sia uomini che donne, che più spesso arrivano nel mio studio perché desiderano capire meglio il loro malessere, come poter ritrovare una condizione di equilibrio, dare senso a una fase critica della loro esistenza. Talvolta si rende necessario l’utilizzo di una terapia farmacologica snella e mirata (e in questo è fondamentale il contributo dei nuovi farmaci, molto più leggeri e tollerabili di quelli utilizzati un tempo), talvolta no; ogni intervento viene concordato col paziente, nel pieno rispetto della sua persona.

 

D: Come è nata la tua passione per la psichiatria?

R: Fin da quando ero bambino ho desiderato fare lo psichiatra. Ricordo che mi appassionava tutto quello che aveva a che fare con la psicologia: i test psicologici contenuti nelle pagine dei settimanali che leggevo dal barbiere, i film con una forte connotazione psicologica, i libri sui sogni, sui meccanismi del sonno. In un certo senso credo che ad affascinarmi fosse il mistero legato alla psiche e ai suoi meccanismi, ed è quello stesso mistero che ancora oggi mi fa amare così tanto il mio lavoro: la sensazione di essere alle prese con qualcosa che ancora non riusciamo a vedere con chiarezza nella sua totalità, ma che possiamo indagare con gli strumenti che, ad esempio, la psicoanalisi ci fornisce. E’ un lavoro, il mio, che mi appassiona ogni giorno, di cui apprezzo ogni aspetto, anche quelli di maggior responsabilità. Dico spesso che non avrei potuto fare altro, nella vita; che quello che faccio mi viene naturale come bere un bicchier d’acqua.

 

D: Cosa consiglieresti ad un giovane che oggi sogna di diventare uno psichiatra da grande?

R: Gli consiglierei, oltre a studiare, di domandarsi se gli piaccia ascoltare le persone, se gli capiti di appassionarsi alle loro storie, di essere curioso di capire, di dar senso, se nutra una passione per il mistero, e se sia capace di compassione, nonostante i tempi in cui viviamo. Credo che questi siano requisiti indispensabili a questa professione. I nostri pazienti hanno bisogno di un ascolto partecipato, di comprensione, di umanità; non sono macchine da smontare.

 

D: Tu spesso nei tuoi post su Facebook racconti alcune situazioni dei tuoi pazienti, pur nel rispetto della privacy. Chi sono le persone che prevalentemente si rivolgono a te e cosa ti chiedono?

R: Di solito chi sceglie di rivolgersi a me lo fa sulla scia di un passaparola, oppure perché è capitato sul mio sito Internet. Le situazioni che caratterizzano le domande di cura che accolgo hanno prevalentemente a che fare con i disturbi d’ansia (panico, fobia sociale, ad esempio) oppure con varie forme di depressione. Spesso la domanda di cura è del tipo “Dottore, tolga questo sintomo da me”, con aspettative magiche e immediate, mentre altre volte il paziente desidera interrogare il proprio sintomo, saperne di più, comprendendo che si tratta di qualcosa che viene da dentro di sé, e non di un corpo estraneo da estirpare.

 

D: Talvolta tra le tue narrazioni spiccano alcune visite domiciliari a persone che stanno per giungere alla fine dei loro giorni. Come la figura dello psichiatra riesce ad accompagnare le persone in questa delicata fase di vita?

R: Ogni rapporto terapeutico che si costruisce in un percorso di cura è a tutti gli effetti una relazione. Se non c’è relazione, non può esistere cura (intesa nel suo senso più ampio, come cura della persona). Mi sembra normale andare a trovare un mio paziente, se si trova ad essere ricoverato, ad esempio, o assisterlo a casa, quando i molti impegni di lavoro me lo consentono, se si trova in una condizione di criticità. La presenza del proprio terapeuta è comprensibilmente fondamentale per molte persone. Non è gravoso, per me; mi sembra, al contrario, un atto di umanità, in particolare nel fine vita.

 

D: Spesso la domanda di cura, anziché giungere da quello che possiamo definire il “paziente designato”, arriva da uno o più familiari. Cosa ti senti di consigliare alle persone che hanno una persona cara, un familiare, un amico che soffre, ma che o non si rende pienamente conto della sua condizione o, pur rendendosene conto, non è disposto a chiedere aiuto?

R: Sulle spalle dei familiari spesso grava il peso della sofferenza di una persona malata. Comprendo la loro difficoltà, ma in assenza di una domanda di cura non è possibile alcun intervento, né per interposta persona, né tantomeno con l’inganno (tipo “ti portiamo dal dentista” e invece lo portano da me). L’unica cosa che un familiare o un amico possono fare è parlare col diretto interessato e cercare di rimandargli la necessità di un intervento medico, o di un colloquio per valutare la sua situazione. In caso di emergenza, ovviamente, l’unica strada è il Pronto Soccorso, che si occupa elettivamente di gestire le urgenze.

 

D: La società in cui viviamo sta diventando sempre più complessa e problematica e i disagi del singolo sono strettamente connessi a quelli sociali, storici, culturali, politici in cui siamo inseriti. Secondo te, in futuro, che ruolo possono avere lo psichiatra e la psichiatria per la cura e il benessere individuale e sociale?

R: Credo che la psichiatria sarà sempre più chiamata in causa per dirimere i dubbi e le sindromi (sempre più complesse) relativi al disagio contemporaneo, che sta assumendo forme sempre più subdole e dilaganti. La figura dello psichiatra è ormai chiamata abitualmente in causa nei più disparati contesti: media, conferenze, tribunali. Ormai lo psichiatra è entrato a far parte di quell’area di “esperti” a cui vengono poste domande sulla società, sulla scuola, sull’adolescenza, sull’arte. Questo fa sì che l’alone di sospetto e timore intorno alla sua figura si stia dissolvendo.

 

D: Per concludere: che messaggio vorresti trasmettere a chi ci sta leggendo e che magari vive un momento di difficoltà personale, familiare o professionale?

R: Di non avere paura. Le ragioni del nostro disagio sono dentro di noi, a volte chiuse a chiave in stanze oscure in cui abbiamo paura di gettare una luce. E’ possibile, con la guida di un professionista di fiducia, aprire queste porte, guardarsi dentro, ritrovare l’equilibrio a partire da una crisi personale, recuperare uno sguardo più sereno sul futuro, e ritrovare un po’ di benevolenza, soprattutto verso sé stessi.

 

Tag:, , , , , , , , , , , , ,

Ti potrebbe interessare anche

di
Articolo precedente Articolo successivo
0 condivisioni
Social Network Widget by Acurax Small Business Website Designers
Visit Us On FacebookVisit Us On TwitterVisit Us On LinkedinCheck Our Feed