Come non urtare la sensibilità altrui con i nostri consigli
di Anna Fata
Tutti noi abbiamo una visione soggettiva della realtà, delle situazioni, delle circostanze, degli oggetti, delle persone. Quando ascoltiamo e parliamo esprimiamo un’ampia parte delle nostre convinzioni soggettive. Esse non necessariamente sono corrette, non sempre si attengono ai dati di realtà e tanto meno vengono condivise dagli altri.
Proprio in virtù dell’ampia quota di soggettività che comportano la mente e i comportamenti i rapporti umani possono risultare difficoltosi, a rischio di conflitto o quantomeno di urtare la sensibilità altrui.
Questo accade in modo particolare non solo quando esprimiamo la nostra posizione, il nostro punto di vista, ma quando invadiamo a tal punto – spesso senza accorgercene, magari animati dalle migliori intenzioni – la sfera altrui, offrendo consigli, per lo più non richiesti.
Come esprimere con cura il nostro punto di vista
In sé e per sé esprimere il proprio punto di vista, la propria opinione fa parte del nostro diritto di libertà di parola. D’altro canto, però, tale possibilità può entrare in contrasto con la libertà altrui e con la percezione e interpretazione di quanto detto da parte dell’altro.
Ognuno di molti può essere molto diverso relativamente alla personalità, ai modi sentire, pensare, agire: c’è chi, ad un estremo, cerca continuamente l’ascolto e il consiglio altrui, e c’è chi, all’opposto, ricerca solo talvolta un pizzico di ascolto non giudicante, accogliente, ma non ama ricevere intromissioni nella propria sfera privata con consigli, suggerimenti, indicazioni, opinioni varie.
Nel mezzo dei due estremi può trovare collocazione tutto l’ampio resto della nostra variabilità umana.
Se non abbiamo grande familiarità con la persona che abbiamo di fronte la parola d’ordine potrebbe essere: cautela. Ascoltare l’altro, rispettando i suoi spazi può essere la migliore strategia di conoscenza e di comprensione.
Quando, invece, siamo di fronte ad una persona che conosciamo, con cui abbiamo un legame profondo, una ricerca condotta da Bo Feng e Eran Magen ha evidenziato che offrire un consiglio non sempre sortisce effetti positivi e talvolta può arrivare a urtare l’altro e persino a danneggiare l’intera relazione.
I due ricercatori, nello specifico, hanno scoperto che quanto più l’amicizia è stretta da due persone, tanto più si tende ad offrire un consiglio non richiesto e a farlo dopo poco tempo dall’inizio dell’interazione, in circa il 70% dei casi.
Come comportarsi di fronte all’infelicità altrui
Quando gli altri condividono con noi i loro dolori, sofferenze, frustrazioni, problemi, infelicità di frequente tendiamo a identificarci. Le reazioni emotive risuonano, consciamente o inconsciamente, dentro di noi e tendiamo a reagire come se fossero le nostre.
In molti casi ci viene spontaneo agire per cercare di porre rimedio alla situazione, riparare o consolare la persona, ancora più se la conosciamo e se ci sta molto a cuore.
Non sempre, però, le nostre intenzioni producono un effetto positivo, né sulla situazione, né sul nostro interlocutore.
Infinite sono le motivazioni per cui le persone si aprono e si confidano con noi. Desiderio di ascolto, accoglienza, consolazione, aiuto, presenza, vicinanza, condivisione, possono essere alcune tra le più numerose e frequenti.
In questi casi la vera sfida per chi ascolta consiste nel restare aperto, attento, presente, silenzioso, non giudicante, evitando il più possibile di commentare, aiutare, consigliare, soprattutto se non richiesto espressamente.
Aspettare il momento di una eventuale richiesta esplicita della nostra opinione, punto di vista, aiuto o consiglio può rappresentare la strategia migliore. In questi casi è più probabile che l’altro sarà più pronto, disponibile, ricettivo, capace di interpretare correttamente le nostre intenzioni e parole.
Testare la ricettività dell’altro
Feng e Magen hanno rilevato che in genere teniamo in grande considerazione il consiglio e le opinioni delle persone che ci stanno a cuore. Tuttavia, ci sono situazioni in cui diamo grande valore alle opinioni di completi estranei, purché siano dotati di ottima esperienza, fama, fiducia, come può accadere, ad esempio, con un luminare della medicina.
Anche in questi ultimi casi, però, si deve essere pronti all’ascolto e alla ricettività.
A questo proposito una ricerca condotta da Stephen A. Buetow ha indagato come i pazienti fumatori reagiscono di fronte ai consigli contro il fumo da parte dei medici di medicina generale. Poiché si ipotizza che tale dialogo avviene in condizioni più competitive che collaborative, perché il medico tenta di togliere un piacere dalla vita del suo paziente, il primo dovrebbe prima verificare che la persona che ha di fronte sia pronta per questo passaggio.
In precedenti ricerche, infatti, si è compreso che i pazienti si aspettano dai loro medici che essi si focalizzino sulla loro salute fisica e non su regole morali o giudizi morali, come spesso accade su questioni legate al fumo e agli stili di vita.
Per valutare la ricettività ad un consiglio, in linea generale, basterebbe una semplice domanda da rivolgere al paziente: Come si sente, cosa prova in merito alla sua abitudine al fumo?
E’ una domanda semplice e immediata, che si può declinare in ogni contesto, a seconda del problema specifico che viene raccontato. Questo consente di comprendere i vissuti, le emozioni, i pensieri e la relativa disponibilità ad agire o meno. In questo modo, a nostra volta diventa possibile calibrare le nostre parole e comportamenti al fine di stare vicino all’altro, senza urtarlo, o di avvicinarlo maggiormente, se lui si mostra disponibile.
A volte basta veramente poco per migliorare il rapporto con le persone, a cominciare da quelle care, fino ai perfetti estranei.