Come affrontare gli errori cognitivi più comuni che rovinano il nostro benessere psicofisico
Di Anna Fata
A tutti noi sarà capitato magari di acquistare un’auto nuova, di iniziare a guidarla e giorno per giorno iniziare a vedere praticamente ovunque altre auto simili o identiche alla propria. Altre volte ci sarà capitata la cosiddetta giornata “iniziata storta” a cui è seguita una serie interminabile di numerosi piccoli o grandi contrattempi dopo quello iniziale. Altre volte ancora ci può essere capitato di riscontrare un piccolo insuccesso professionale o personale a cui è seguita una interminabile serie di autocritiche, svalutazioni che sono riuscite quasi a minare la propria autostima a lungo costruita con tanta fatica nel tempo.
Sono tutti esempi di come reagiamo di fronte alle situazioni avvalendoci delle cosiddette “distorsioni cognitive”. Le distorsioni cognitive sono prospettive parziali di pensiero che ciascuno di noi ha su se stesso, gli altri, il mondo. Sono pensieri irrazionali, convinzioni, credenze a cui siamo giunti e che spesso inconsciamente rinforziamo nel tempo, finiamo con il pensare che siano vere e crediamo ciecamente in esse.
Spesso sono pensieri sottili, che sfuggono alla nostra attenzione e consapevolezza. Sono talmente radicati in noi al punto da connotare la nostra stessa persona. Vi è una identificazione totale con essi. In questo modo diventano difficili da identificare ed, eventualmente, mettere in discussione e cambiare.
Vedere per strada tante auto uguali alla nostra, tutto d’un tratto, quando guarda caso abbiamo acquistato la nostra è una illusione, un errore cognitivo, che non ha alcunché di concreto in termini statistici. E’ semplicemente il frutto della nostra attenzione selettiva che ci porta a porre l’attenzione principalmente su auto simili alla nostra. Allo stesso modo un singolo evento che va storto non necessariamente, anzi assai raramente è connesso casualmente ai successivi, e parimenti un obiettivo non raggiunto non indica necessariamente che siamo degli incapaci e dei falliti e come tali non degni di alcuna stima.
Osservare le proprie distorsioni cognitive è importante per non incorrere in errori di valutazione di noi stessi, degli altri, del lavoro, del mondo e quindi in azioni a loro volta non consone ai propri obiettivi e al proprio benessere psicofisico. Le distorsioni cognitive, infatti, alla lunga, tra le altre cose, possono portare a sviluppare sintomi correlati ad ansia, depressione, difficoltà relazionali, lavorative e altri disagi psicofisici.
A seguire le 11 distorsioni cognitive più frequenti e come superarle:
- Pensiero polarizzato o tutto-o-niente: è il classico pensiero dicotomico bianco-nero, che manifesta la nostra incapacità di vedere le infinite sfumature e possibilità che risiedono in noi stessi, negli altri, nelle situazioni. Questa disposizione mentale limita ampiamente l’opportunità di cogliere occasioni che nella vita e nel lavoro si possono presentare. Se ci si focalizza solo sul versante del negativo l’esistenza appare carica di pessimismo, sfiducia, rassegnazione, se si indugia esclusivamente su quello positivo si rischia di non prendere in debita considerazione anche i limiti che ogni persona o situazione porta con sé e che vanno attentamente ponderati
- Sovra generalizzazione: è il caso in cui si parte da una conclusione e la si estende a tutte le situazioni simili possibili. Ad esempio se si ottiene un insuccesso professionale ci si può sentire marchiati e falliti a vita. Se, invece, si colleziona un successo ci si può rischiare di illudere che sarà per sempre così e non si sarà adeguatamente pronti ad affrontare un eventuale insuccesso, che può accadere a chiunque
- Filtro mentale: al pari della sovra generalizzazione anche il filtro mentale si focalizza su un unico elemento negativo ed esclude tutti quelli positivi o viceversa. E’ quello che ad esempio può accadere in una iniziale relazione di coppia in cui si tendono a vedere solo i pregi e non i difetti, che del resto tutti abbiamo. Sarebbe opportuno, invece, cercare di avere una visione più ampia e complessa di se stessi, del prossimo, della vita, del lavoro, del mondo
- Squalificare il positivo: in questo caso la tendenza è quella di riconoscere le esperienze positive, ma di attribuire loro scarso valore. Ad esempio, se si riceve una gratificazione, una lode al lavoro si può essere portati a pensare che ci sia stata fatta solo per motivi politici, di opportunismo, convenienza o altro motivo negativo. Questa in molti casi è una forma maligna e subdola di pensiero che tende ad essere molto resistente anche di fronte all’evidenza contraria. In questo caso potrebbe essere opportuno mettere da parte i pregiudizi relativi alle intenzioni altrui che in quanto altre da noi sono e restano in ampia parte inconoscibili. Affidarsi maggiormente al proprio intuito e sensibilità, inoltre, può aiutarci a comprendere se le intenzioni comunicative dell’altro sono realmente in linea con quello che ci sta dicendo, se è sincero nelle sue parole o meno
- Saltare alle conclusioni, leggere nella mente: si basa sulla presunzione di sapere cosa pensano le altre persone, soprattutto interpretando in modo negativo quanto si vede o si sente. Ad esempio, osservare una persona che ascolta una nostra conferenza con uno sguardo accigliato e credere che sia contrariata rispetto a quanto stiamo dicendo è una distorsione del nostro pensiero che salta alla conclusione senza avere neppure interpellato direttamente la persona per sapere cosa ne pensa. Per evitare questa distorsione si dovrebbe, molto semplicemente, chiedere alle persone cosa pensano e ascoltare le risposte senza pregiudizi
- Saltare alle conclusioni, predire il futuro: è la tendenza a delineare delle conclusioni non basate sull’evidenza e considerarle come una verità profetica. Ad esempio, credere che non ci sposerà mai perché ancora non si è trovata la persona giusta o che non si avrà mai un lavoro perché non si è ottenuta risposta alle tante copie di curriculum spedite sono forme di predizione del futuro senza fondamento. E’ sufficiente l’arrivo anche di un solo partner giusto o di una offerta di lavoro per smentire questa predizione. Per superare questa distorsione sarebbe opportuno imparare ad accettare che non possiamo avere il controllo su tutto e su tutti, che il futuro è ignoto per tutti noi, che non ci sono certezze e che si deve apprendere a convivere serenamente col dubbio
- Magnificazione, catastrofizzazione o minimizzazione: è anche detto “inganno binoculare” e si esplica nella esagerazione dell’importanza o del significato di qualcosa o di minimizzarne l’importanza o il significato di altre. Quando, ad esempio, si compie un errore al lavoro, se di solito si è molto abili, attenti lo si può considerare enorme, se invece si consegue un grande successo professionale, mentre di solito si ottengono solo risultati mediocri, si può minimizzare il valore del successo e continuare a considerarsi degli impiegati mediocri. L’ideale in questi casi sarebbe cercare di dare un giusto peso all’accaduto, senza esagerare in un senso né nell’altro. Errare è umano, capita a tutti. Al tempo stesso anche ottenere dei successi può capitare a chiunque, non tanto per caso, ma magari perché si è stati in grado di mettere a frutto un talento che di solito non si utilizza e magari neppure si è consapevoli di avere
- Ragionamento emotivo: ha come assunto di base il considerare una emozione come un fatto e come tale vera. Sento qualcosa quindi per forza deve essere così. Ad esempio, se ci si sente in ansia si dà per scontato che esista qualcosa che rappresenti un pericolo reale. Imparare a mettere in dubbio le proprie emozioni, evitare di attribuire loro una etichetta sicura e permanente, limitarsi a osservare le sensazioni fisiche, ad esempio, al posto della definizione di ansia, si può osservare il respiro affannato, la stretta allo stomaco, i brividi, il senso di paralisi, possono essere utili strategie per superare questa distorsione cognitiva
- Affermazioni relative al dovere: spesso ricorrono in molti di noi affermazioni relative al si deve, si dovrebbe, si deve, fare, dire, essere. Sono affermazioni che si applicano a se stessi e per estensione anche agli altri finendo col creare dentro se stessi delle aspettative che non sempre né necessariamente vengono poi soddisfatte. Quando questo accade il senso di risentimento, rancore, rabbia verso gli altri, o di colpa, di manchevolezza, di disistima verso se stessi cresce ampiamente. Imparare a mettere in dubbio i doveri, basarsi maggiormente sul quello che ci si sente, sulle reali priorità e necessità, rispettare se stessi e al tempo stesso la libertà altrui, imparare che gli altri non si possono controllare, che non esistono sistemi assoluti a cui sottostare e nel caso, non sta a noi farli rispettare, può essere un modo per imparare a rappacificarsi col proprio senso del dovere
- Etichettare: è una forma estrema di generalizzazione in cui si assegnano giudizi di valore a se stessi e agli altri sulla base di una sola affermazione o di un’esperienza. Spesso è frutto di un giudizio affrettato con forte componente emotiva. Accade, ad esempio, quando sbagliamo a svolgere una nuova mansione che ci viene affidata in ufficio e subito ci etichettiamo come incapaci che non sono capaci di imparare niente di nuovo o quando da adolescenti veniamo respinti dal primo ragazzo o ragazza che ci piace e ci etichettiamo come non amabili. Per superare questa distorsione può essere utile relativizzare la portata delle affermazioni, delle osservazioni, delle esperienze a quelle che di fatto sono: una sola esperienza che non sempre né necessariamente si ripeterà e che non è in grado di inquadrarci rigidamente nelle nostre qualità e risorse personali
- Personalizzazione: consiste ne prendere sul personale tutto quello che accade o, peggio ancora, sentirsi sempre in colpa per tutto. Per evitare questa distorsione può essere utile imparare a mettersi un po’ meno al centro, accettare che ci sono tanti eventi che non sono sotto il diretto controllo, che non tutto ruota intorno a noi, che le persone intorno hanno una loro vita, pensieri, emozioni, azioni e che non tutto è diretto verso di noi, che è sufficiente fare del proprio meglio, avere la coscienza pulita, pur assumendosi le proprie responsabilità, ma senza andare oltre le reali contingenze.
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