Nell’economia l’equità conta più dell’uguaglianza
di Anna Fata
Secondo Paul Bloom, docente di psicologia presso la Yale University, molto discusso e controverso soprattutto di recente per le sue ricerche e conseguenti affermazioni in merito a morale, empatia, religione, politica, non esiste alcuna reale evidenza che gli esseri umani, né qualsiasi altra specie di viventi, attribuiscano in modo naturale un valore all’uguaglianza in sé e per sé. In realtà, infatti, ciò che ci sta a cuore è l’equità.
In realtà, occorre distinguere le diverse situazioni: quando si tratta di diritti civili, sicurezza, giustizia, opportunità di lavoro e di vita tendiamo a chiedere l’uguaglianza. Ad esempio, se la legge vieta di uccidere, rubare, commettere infrazioni alla guida dell’auto, desideriamo che questo valga per tutti e che queste disposizioni vengano fatte rispettare e, nel caso, venga punito adeguatamente chi non le osserva.
Invochiamo l’uguaglianza anche in materia di dignità, rispetto: tutti, in quanto esseri umani, vogliamo essere trattati allo stesso modo, con pari diritti e doveri, a prescindere dalla provenienza geografica, sesso, colore della pelle, estrazione socioculturale ed economica.
Quando possiamo tollerare alcune piccole disuguaglianze
Esiste un ambito della nostra esistenza, però, in cui la nostra posizione in merito all’uguaglianza è incline ad un cambiamento di prospettiva: l’economia. In questo campo non vogliamo l’uguaglianza.
In alcune ricerche condotte da Dan Ariely presso la Duke University, autore di “Predictably Irrational”, è stato chiesto alle persone di creare una società perfetta in cui nel quinto superiore c’erano coloro che detenevano tre volte più ricchezza di coloro che si trovavano nell’ultimo quinto, in fondo alla classifica. Dai risultati è emerso che le persone sembrano essere disposte a tollerare, o in alcuni casi addirittura a preferire, la disuguaglianza economica, seppure con alcuni limiti.
Perché a volte sopportiamo la disuguaglianza economica
Pare che la spiegazione al mistero sul perché siamo disposti ad accettare la disuguaglianza in materia economica, ma non in altri campi, si possa trovare nelle ricerche di Harry Frankfurt, autore di “On Inequality”. Egli ha ipotizzato un mondo in cui ciascuno è povero allo stesso modo: ben pochi, secondo lui, preferirebbero vivere in questo mondo rispetto a quello in cui abitiamo oggi.
Secondo Frankfurt quello contro cui si accaniscono oggi le persone sono le cause, per lo più ingiuste, che perpetrano le disparità economiche, in particolare il fatto che sono il risultato non dei nostri meriti, ma di altri fattori che non sono sotto il nostro controllo, come ad esempio, la classe sociale della propria famiglia, il colore della nostra pelle, il sesso.
Inoltre, la maggior parte di noi nutre forti timori in merito alle conseguenze che possono determinare queste divari, ad esempio la minaccia della democrazia stessa, le rivolte sociali, l’aumento del crimine, la sofferenza delle persone indigenti.
Noi tendiamo a preoccuparci non perché qualcuno possiede meno, ma perché coloro che hanno meno dispongono di troppo poco per vivere dignitosamente. Questo è particolarmente evidente in alcuni Paesi esteri, e di recente anche in Italia, ad esempio quando si invoca a gran voce il cosidetto salario minimo di lavoro.
In relazione a queste affermazioni, quindi, sembra che quello che conti maggiormente non siano le disuguaglianze, ma le ingiustizie e le iniquità. In merito al senso di equità nelle sue ricerche Bloom in particolare è giunto a conclusione che sia gli esseri umani, sia gli animali abbiano una forte motivazione a non possedere meno di chiunque altro. In pratica: due per te e uno per me, secondo noi umani, è ingiusto, ma due per me e uno per te va bene!
L’altruismo reciproco
Anche se diverse ricerche di Bloom sembrano confermare una versione piuttosto egoistica e autocentrata dell’equità, pare che in realtà la questione possa essere un po’ più complessa e connessa a molteplici fattori sociali.
Esistono comportamenti, ad esempio, che si ispirano ad una sorta di altruismo reciproco. In base ad esso noi tendiamo ad essere più generosi verso le persone care, che conosciamo, parenti, amici, coloro che appartengono al nostro gruppo, in ampia parte in virtù del fatto che ci aspettiamo di essere contraccambiati in futuro.
Quando prevale l’equità oppure l’altruismo
Esistono dei fattori sociali che possono indurci più frequentemente ad agire in modo equo, oppure altruista. Uno dei più influenti consiste nella percezione della condizione in cui si trova la persona a cui ci rivolgiamo. Ad esempio, se crediamo che le differenze di status siano il frutto di evenienze arbitrarie, come una casualità, si è più propensi ad agire in modo giusto nelle transazioni economiche.
Al contrario, se si pensa che lo status sia stato raggiunto conferendo benefici ad altri, le persone di status elevato tendono a comportarsi generosamente verso coloro che si trovano in condizioni inferiori. In pratica: loro offrono di più, si aspettano meno e mostrano maggiore tolleranza verso gli imbrogli. Questo schema rappresenta una sorta di “noblesse oblige”.
Come fare emergere l’avidità
Quando il denaro è legato allo status sociale, pare che sia in grado di fare emergere il lato malvagio di noi umani. Nel momento in cui alle persone viene fatto credere che lo status dipende dai risultati delle performance competitive, coloro che si trovano in posizioni apicali tendono a sfruttare quelli che si trovano al di sotto. Nello specifico offrono meno, sfruttano di più, creano meno relazioni. In risposta coloro che si trovano in posizioni inferiori sono portati ad accettare meno e a offrire di più. In pratica, sembra che entrambi i fronti siano inclini a credere che coloro che stanno ai vertici siano realmente superiori e come tali autorizzati a sfruttare di più.
Pare che la consapevolezza dello status sociale sia qualcosa di ancestrale che per certi versi ci accomuna anche agli scimpanzé, come attestato dalle ricerche di Brosnan e De Waal. Essi hanno notato, ad esempio, che le scimmie si possono arrabbiare molto se ricevono meno ricompense rispetto a coloro che si trovano ad un livello inferiore della gerarchia rispetto a loro.
Quando l’uguaglianza viene considerata ingiusta
Per concludere, esistono delle situazioni in cui tendiamo a credere che l’uguaglianza sia qualcosa di ingiusto. Questo accade quando riteniamo di meritarci di più degli altri. Ad esempio, per molti di noi sarebbe inconcepibile essere plurilaureati e riceve uno stipendio orario pari o inferiore a quello di un semplice tecnico o operaio, seppur specializzato.
In questi casi essere benestanti, ricchi o semplicemente disporre di quello che serve per vivere e magari anche qualcosa di più non ci basta. Vogliamo che gli altri siano meno abbienti di noi. Per molti di noi, più o meno consciamente o inconsciamente, sotto sotto la professione che svolgiamo è molto legata non solo ad una eventuale propensione o missione di vita, ma anche allo status che conferisce, al prestigio, alla ricchezza che può conferire.
In base a questa convinzione, più o meno latente o manifesta, ci può indispettire constatare che coloro che si trovano ad un livello gerarchico inferiore al nostro possano disporre di maggiori risorse rispetto a noi. Ci si sente di avere i titoli necessari per avere noi di più. Per certi versi ci si sente impoveriti a causa d’altri.
Per finire possiamo affermare che, forse, la domanda corretta da porci non è se vogliamo l’equità oppure la giustizia, ma quando siamo disposti a tollerare la disuguaglianza e in quale grado prima di sentirci feriti da essa.
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